6 Novembre 2025

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    Ralph Lauren, ricavi in crescita a doppia cifra nel 2Q26, migliora l’outlook per l’intero anno

    (Teleborsa) – Nel secondo trimestre dell’anno fiscale 2026, il fatturato di Ralph Lauren è aumentato del 17%, raggiungendo i 2 miliardi di dollari su base riportata, e del 14% a valuta costante. L’effetto valutario ha avuto un impatto positivo sulla crescita del fatturato di circa 250 punti base nel secondo trimestre.Il fatturato Nord America è aumentato del 13%, raggiungendo gli 832 milioni di dollari su base riportata. Nel settore retail, le vendite comparabili in Nord America sono aumentate del 13%, con un aumento del 12% nei negozi fisici e del 15% nel commercio digitale. Il fatturato wholesale Nord America è aumentato del 13% rispetto all’anno precedente.Il fatturato Europa è aumentato del 22%, raggiungendo i 688 milioni di dollari su base riportata. A valuta costante, il fatturato è aumentato del 15%. Nel settore retail, le vendite comparabili in Europa sono aumentate del 10%, con un incremento dell’8% nei negozi fisici e del 17% nel commercio digitale. Il fatturato all’ingrosso in Europa è aumentato del 26% rispetto all’anno precedente su base riportata e del 18% a valuta costante.Il fatturato in Asia è aumentato del 17%, raggiungendo i 446 milioni di dollari su base riportata. A valuta costante, il fatturato è aumentato del 16%. Le vendite comparabili in Asia sono aumentate del 16%, con un aumento del 14% nei nostri negozi fisici e del 36% nel commercio digitale.Il Gross Profit è stato di 1,4 miliardi di dollari e il gross margin è stato del 68,0%, 100 punti base in più rispetto all’anno precedente. L’espansione del margine lordo è stata trainata dalla crescita dei ricavi netti, dal mix di prodotti favorevole e dai minori costi del cotone, più che compensando la pressione dei dazi e di altri costi di prodotto.L’utile operativo è stato di 246 milioni di dollari e il margine operativo è stato del 12,2% su base riportata. Su base rettificata, l’utile operativo è stato di 283 milioni di dollari e il margine operativo è stato del 14,1%, 270 punti base in più rispetto all’anno precedente.L’utile netto è stato di 207 milioni di dollari, pari a 3,32 dollari per azione diluita su base riportata. Su base rettificata, l’utile netto è stato di 237 milioni di dollari, pari a 3,79 dollari per azione diluita. Questo dato si confronta con un utile netto di 148 milioni di dollari, pari a 2,31 dollari per azione diluita su base riportata, e un utile netto di 162 milioni di dollari, pari a 2,54 dollari per azione diluita su base rettificata, per il secondo trimestre dell’anno fiscale 2025.”Le previsioni della Società si basano sulla migliore valutazione dell’attuale contesto geopolitico e macroeconomico, inclusi, tra gli altri fattori, pressioni inflazionistiche, dazi e altri fattori sfavorevoli legati alla spesa dei consumatori, interruzioni della catena di approvvigionamento globale e volatilità dei tassi di cambio”, ha affermato la società.Per l’anno fiscale 2026, la Società prevede ora un aumento dei ricavi dal 5% al ??7% a tassi di cambio costanti.Ai tassi di cambio correnti, si prevede che la valuta estera favorirà la crescita dei ricavi di circa 200-250 punti base nell’anno fiscale 2026. Attesa ora un’espansione del margine operativo di circa 60-80 punti base a tassi di cambio costanti, in aumento rispetto alle previsioni precedenti, trainata principalmente dalla leva finanziaria sui costi operativi. Si prevede ora che la valuta estera favorirà i margini lordi e operativi di circa 30-50 punti base.Per il terzo trimestre, la Società prevede una crescita dei ricavi di circa 150-200 punti base a valuta costante. Si prevede che la valuta estera favorirà la crescita dei ricavi di circa 150-200 punti base. Il margine operativo è atteso aumentare di circa 60-80 punti base a valuta costante. Si prevede che la valuta estera favorirà i margini lordi e operativi rispettivamente di circa 10 e 20 punti base. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, Urso: “Italia ha avuto ruolo spropositato per decisioni UE”

    (Teleborsa) – Secondo il Financial Times, “l’Italia ha avuto un ruolo spropositato” all’ultimo Consiglio europeo Ambiente. Lo ha ricordato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, in occasione del 7º Business Forum Trilaterale tra Confindustria, BDI e MEDEF, le associazioni degli industriali tedeschi e francesi.Il titolare del MIMIT ha sottolineato che “è passata la posizione che l’Italia ha espresso, condivisa dalla stragrande maggioranza dei Paesi europei. Una posizione importante, finalmente pragmatica, flessibile, realistica e basata sul principio della neutralità tecnologica”.Al Consiglio Ambiente sono state accolte tutte le richieste dell’Italia: è stata innalzata dal 3% al 5% la possibilità di ricorso a crediti internazionali, è stata introdotta la possibilità di rivedere il regolamento sul clima ogni due anni e, per la prima volta, sono stati menzionati in maniera esplicita i biocarburanti. “Questo dimostra che l’Italia finalmente è tornata in campo nell’incidere nelle decisioni europee. E quello che voi avete fatto con la dichiarazione congiunta – ha affermato Urso rivolgendosi agli industriali – ci aiuta. Perché è bene che i governi sentano la voce, le posizioni delle imprese, che in maniera così significativa e coesa indicano la strada da percorrere. Una strada che, per quanto ci riguarda, deve essere necessariamente quella di coniugare al meglio, come indicato da Draghi, la sostenibilità ambientale con la sostenibilità industriale e con la sostenibilità sociale”.”Una strada condivisa con i grandi paesi industriali, che il nostro governo ha sin dall’inizio indicato, sia dando attuazione al Trattato del Quirinale con la Francia, sia realizzando il Piano d’azione con la Germania”, ha sottolineato Urso, aggiungendo che il governo si è impegnato dall’inizio “sui dossier centrali” per l’Europa, la revisione del CBAM e del ETS, che saranno all’ordine del giorno della Commissione il prossimo 10 dicembre. Urso ha citato il paper sull’auto, che conteneva due condizioni preliminari, entrambe accolte dalla Commissione: la prima riguarda la rimozione dell’ostacolo insormontabile che avrebbe obbligato le industrie europee ad acquistare titoli da società americane e cinesi, per evitare le multe già a partire da quest’anno; l’altra che puntava ad anticipare il Regolamento europeo sulla CO2 dal 2027 a quest’anno. “Ora bisogna agire e farlo in fretta, per ribadire che la revisione del regolamento debba riguardare sia i veicoli leggeri che i veicoli pesanti e per riaffermare quello che è stato già deciso ieri nel consiglio ambiente su neutralità tecnologica e biocarburanti. E’ necessario – ha ribadito il Ministro – per garantire alle imprese le risorse necessarie per gli investimenti, per accelerare sulla strada dell’elettrico, conservando l’autonomia strategica del nostro Continente”. LEGGI TUTTO

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    ENGIE, gestione operativa in calo nei 9M25, pesa il nucleare

    (Teleborsa) – Nei primi nove mesi del 2025 la francese ENGIE ha totalizzato ricavi per pari a 52,8 miliardi di euro, sono aumentati dello 0,2% su base lorda e dell’1,8% su base organica.A livello di gestione operativa, l’EBITDA si è attestato a 10,8 miliardi, in calo del 10,2% (-8,3% su base organica). L’aggregato al netto del settore nucleare è stato pari a 9,8 miliardi, in calo del 6,2% (-3,9% su base organica). L’EBIT, settore nucleare escluso, si è attestato a 6,3 miliardi, in calo del 10,5% (-7,3% su base organica).Da segnalare che l’EBIT delle attività nucleari è diminuito del 53,8% su base organica nei primi nove mesi del 2025, principalmente a causa di un effetto volume negativo legato alla chiusura definitiva di Doel 1 a febbraio 2025, nonché alle interruzioni per conformità di Tihange 3 nel secondo trimestre e di Doel 4 nel terzo trimestre. Tale calo è dovuto anche ai prezzi più bassi registrati in Europa.Il Cash Flow From Operations è stato pari a 11,4 miliardi, in leggero calo di 0,4 miliardi rispetto ai primi nove mesi del 2024, particolarmente elevati.L’indebitamento finanziario netto si è attestato a 36,0 miliardi, in aumento di 2,7 miliardi rispetto al 31 dicembre 2024. Tale aumento è stato determinato principalmente da: investimenti nel periodo pari a 5,6 miliardi; dividendi pagati agli azionisti di ENGIE e alle partecipazioni di minoranza per 4,4 miliardi; finanziamenti e spese relativi al nucleare in Belgio per un totale di 4,5 miliardi.Per la fine del 2025 il management conferma un Net Recurring Income atteso nella parte superiore dell’intervallo tra 4,4 e 5,0 miliardi. L’EBIT, escluso il settore nucleare, è previsto nella metà superiore dell’intervallo indicativo tra 8,0 e 9,0 miliardi.Catherine MacGregor, CEO di ENGIE, ha dichiarato: “ENGIE ha registrato una solida performance nei primi nove mesi dell’anno, nonostante un contesto di mercato caratterizzato da un indebolimento dei prezzi dell’energia. La nostra generazione di flussi di cassa rimane molto elevata, pari a 11,4 miliardi di euro, a dimostrazione della solidità del nostro modello di utilità e della qualità dei nostri utili.Il nostro piano di performance è partito con il piede giusto, con un contributo positivo di quasi 500 milioni di euro nei nove mesi.Abbiamo proseguito il nostro sviluppo nelle energie rinnovabili e negli asset flessibili in Europa, essenziali per supportare la transizione energetica. Lo slancio commerciale attorno ai PPA continua, trainato dalla crescente domanda di data center, in particolare negli Stati Uniti. ENGIE è molto ben posizionata, avendo firmato oltre 3 GW di PPA durante il periodo, con clienti come Meta. In Belgio, i reattori Tihange 3 e Doel 4 sono stati riavviati rispettivamente a luglio e a ottobre, dopo un periodo di lavori per la loro estensione decennale. Questo segna una tappa fondamentale nel programma di estensione nucleare, nonché il raggiungimento dell’obiettivo principale degli accordi firmati con il governo belga, ora completati. Siamo fiduciosi di raggiungere il limite superiore del nostro intervallo di previsione per l’anno.” LEGGI TUTTO

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    Auto aziendali: con una riforma fiscale basata sulle emissioni 4,3 miliardi per lo Stato entro il 2030

    (Teleborsa) – Riformare la fiscalità delle auto aziendali basandosi sulle emissioni potrebbe generare 4,3 miliardi di introiti per lo Stato e una riduzione delle emissioni di CO2 di oltre 2 milioni di tonnellate entro il 2030. Ecco cosa emerge da un nuovo studio di Transport & Environment (T&E), la principale organizzazione europea per la decarbonizzazione dei trasporti. Infatti, nonostante la recente riforma sui fringe benefit, l’Italia si conferma al primo posto in Europa per i sussidi alle auto aziendali inquinanti (endotermiche, ibride e ibride plug-in).Tra detrazioni IVA, ammortamento del costo del veicolo, bollo auto, agevolazioni sui carburanti e, appunto, tassazione delle auto concesse ai dipendenti in benefit in kind, il sistema fiscale italiano genera oltre 14 miliardi di euro all’anno di sussidi indiretti. In questo senso, la maggiore componente di sgravio è rappresentata dalla tassazione agevolata sulle auto aziendali in fringe benefit che prevede una tassazione limitata al 50% del valore convenzionale d’uso per le auto endotermiche e del 20% per le ibride plug-in (PHEV), che risultano ancora più favorite rispetto al passato, anche se analisi recenti attestano emissioni reali fino a cinque volte superiori rispetto a quelle dichiarate. E ciò nonostante, secondo quanto riportato nell’edizione appena pubblicata del Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) del MASE, proprio in virtù della recente riforma, a partire dal prossimo anno queste agevolazioni perderanno lo status di “sussidio dannoso”. Emissioni: il 90% dal traffico su strada – In Italia, i trasporti sono responsabili di oltre un quarto di tutte le emissioni di gas serra. Il traffico su strada rappresenta il 90% di queste emissioni e le auto ne producono due terzi. Il parco auto è tra i più vecchi d’Europa, molte città superano i limiti di qualità dell’aria e il mercato dei veicoli elettrici, nonostante una buona crescita percentuale nel 2025, è ancora esiguo. Per raggiungere gli obiettivi climatici – e sanare l’aria che respiriamo – serve un cambio di rotta rapido: utilizzare la leva fiscale per favorire la transizione delle flotte aziendali verso tecnologie pulite e sostenere la mobilità elettrica.Auto aziendali: 60% delle emissioni di CO2 – In Italia, nel 2024 le auto aziendali hanno rappresentato il 40% del mercato ma, percorrendo molta più strada, hanno prodotto quasi il 60% delle emissioni di CO2. Le aziende presentano caratteristiche che facilitano la transizione: sono finanziariamente più robuste, maggiormente attente al total cost of ownership dei veicoli, godono di consistenti agevolazioni fiscali e possono programmare meglio la logistica della loro mobilità, così da ottimizzarla rispetto alla distribuzione delle infrastrutture di ricarica; inoltre, possono installare infrastrutture di ricarica in sede e produrre energia rinnovabile. Dopo circa 3-4 anni, le auto aziendali finiscono sul mercato dell’usato, divenendo così un’opzione economicamente accessibile per la maggioranza dei consumatori (circa 8 su 10) che opta per veicoli di seconda mano.Emissioni: Ue incoraggia i Paesi a usare la leva fiscale – L’UE raccomanda all’Italia di utilizzare la fiscalità per promuovere veicoli puliti e sta preparando una normativa per la decarbonizzazione delle flotte, attesa entro la fine dell’anno. Esempi come quello del Belgio dimostrano che la leva fiscale funziona: una riforma del 2021, che dal 2026 consentirà di ammortizzare il costo dei soli veicoli a zero emissioni, ha fatto salire la percentuale di auto aziendali elettriche dal 8,8% nel 2021 al 41,1% nel 2024.Auto: l’Italia non collega tassazione e emissioni – “La riforma sui fringe benefit dello scorso anno è stata un primo passo, ma le nostre analisi mostrano che non basta. Non servono interventi parziali, ma una visione e un approccio sistemici. Sorprende che la tassazione agevolata sulle auto aziendali in fringe benefit verrà esclusa dal Catalogo dei SAD, nonostante le endotermiche e, ancor più, le ibride plug-in continuino a beneficiare di un regime fiscale favorevole – afferma Esther Marchetti, Clean Transport Advocacy Manager di T&E Italia –. L’Italia, con una normativa disorganica di esenzioni, continua a sussidiare indirettamente le auto inquinanti ed è tra i pochissimi paesi europei a non collegare la tassazione dell’auto alle emissioni. Tuttavia, la fiscalità è uno degli strumenti più efficaci per orientare consumatori e imprese verso veicoli più efficienti, silenziosi e alimentabili con energia rinnovabile. Per questo va utilizzata al meglio, anche a massima garanzia della salute dei cittadini”.Proposta T&E: tassazione legata alle emissioni di CO2 – T&E propone una riforma strutturale e progressiva, applicabile solo alle nuove immatricolazioni e basata su un sistema di bonus-malus legato alle emissioni di CO2, che includa: tassazione dei veicoli concessi in fringe benefit, detraibilità dell’IVA, deducibilità del costo del veicolo e l’introduzione di una tassa di immatricolazione unica, parametrata a emissioni e costo del veicolo. La proposta prevede un iniziale aumento dei benefici per le tecnologie zero emissioni e una contestuale riduzione di quelli per le endotermiche, fino al loro azzeramento. Nel tempo, la pressione fiscale aumenterebbe anche sulle auto meno emissive, per evitare distorsioni e mancato gettito.Riforma fiscale: +29% di auto elettriche, -6% import di petrolio – Secondo il modello di T&E, tra il 2026 e il 2030 questa riforma non solo genererebbe un saldo positivo di 4,3 miliardi di euro per lo Stato, riducendo le emissioni climalteranti, ma taglierebbe del 6% le importazioni di petrolio del settore trasporti e porterebbe circa 235mila auto elettriche in più in circolazione, pari a un incremento del 29%.Reinvestire le risorse contro la “transport poverty” – “Una riforma di questo tipo garantirebbe stabilità normativa e chiarezza per gli investimenti, supportando le imprese nella pianificazione della decarbonizzazione delle flotte – conclude Marchetti –. Se le risorse generate venissero reinvestite nella transizione, si potrebbero incentivare le infrastrutture di ricarica aziendali e sfruttare il potenziale di accumulo delle batterie. Destinare parte di queste risorse a programmi di social leasing, trasporto pubblico, car sharing, piani di rottamazione e incentivi alla mobilità attiva permetterebbe di supportare anche le fasce di popolazione più esposte alla transport poverty. Questo, insieme alla creazione rapida di un mercato dell’usato elettrico accessibile, renderebbe la transizione più equa e sostenibile per tutte le persone”. LEGGI TUTTO

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    UpB: economia Italia cresce poco, verso PIL sotto livello Ue

    (Teleborsa) – La Manovra si inserisce in un contesto che continua a essere piuttosto complesso, c’è una prospettiva di rallentamento della congiuntura internazionale che influenza le prospettive di crescita per l’economia italiana, che sta crescendo relativamente poco: il terzo trimestre è sostanzialmente stabile e le prospettive per quest’anno sono di un acquisito allo 0,5%, quindi una crescita che è al di sotto del livello medio nell’Ue”. Lo ha detto la presidente dell’Upb Lilia Cavallari in audizione sulla manovra alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato. “Le previsioni crescita su cui si innesta la manovra sono state validate dall’Upb che ha sottolineato come i rischi siano prevalentemente orientati al ribasso”, ha aggiunto.”Secondo le stime effettuate con il modello di simulazione dell’UPB la riduzione di aliquota riguarderà poco più del 30 per cento dei contribuenti (circa 13 milioni che si collocano oltre la soglia di 28.000 euro di reddito) con un minor gettito Irpef di circa 2,7 miliardi”. “Il 50 per cento del risparmio d’imposta affluisce ai contribuenti con reddito superiore ai 48.000 euro che rappresentano l’8 per cento del totale – aggiunge -. Gli effetti variano significativamente fra contribuenti a seconda del loro reddito prevalente. Nell’ambito dei lavoratori dipendenti, il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti e si riduce a 123 e 23 euro, rispettivamente, per impiegati e operai. Per i lavoratori autonomi in tassazione ordinaria la riduzione media è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro. In termini di aliquota media la riduzione risulta compresa fra lo 0,1 punti percentuali degli operai e 0,4 di impiegati e lavoratori autonomi in tassazione ordinaria”. “La sterilizzazione della riduzione delle aliquote per i redditi più elevati produrrà effetti parziali dato che solo il 32 per cento dei contribuenti con reddito superiore ai 200.000 euro (58.000 contribuenti) ha detrazioni aggredibili che non siano state già tagliate da precedenti interventi normativi – ha concluso -. Per tale platea il taglio medio effettivo ammonta a 188 euro, significativamente inferiore al risparmio di 440 euro derivante dalla riforma”. La legge di bilancio “conferma la linea prudente di consolidamento progressivo dei conti pubblici in corerenza con gli impegni assunti con il Piano strutturale di bilancio” che “implica spazi di manovra ristretti” ma anche “una buona probabilità di uscire dalla procedura di avanzo eccessivo già nel 2026”.”Significative coperture dal lato delle uscite riguardano riduzioni di spesa dei Ministeri, per le quali prevale ancora la presenza di ‘tagli lineari’ piuttosto che uno sforzo di razionalizzazione delle spese che sia il risultato delle attività di valutazione delle politiche pubbliche”Quanto alla detassazione dei rinnovi contrattuali prevista dalla legge di bilancio “presenta criticità” e “determina significative disparità di trattamento” tra contribuenti. “L’intervento determina un differimento temporale del prelievo più elevato, senza risolverlo strutturalmente” ricorda l’UPB, e “determina significative disparità di trattamento poiché esclude dalla platea dei beneficiari contribuenti in situazioni reddituali analoghe”. “Tali criticità – secondo l’UPB – sollevano dubbi sull’opportunità di affidare a interventi a hoc temporanei la correzione di criticità strutturali dell’imposta sul reddito derivanti dall’aver affidato al sistema fiscale obiettivi di sostegno ai redditi che sarebbero più efficacemente perseguiti con altri istituti”. La platea di quanti avrebbero beneficio dall’imposta sostitutiva al 5 per cento sarebbe, secondo le simulazioni dell’UPB, di circa 2,1 milioni di lavoratori, con un risparmio d’imposta medio per contribuente pari a circa 208 euro. LEGGI TUTTO

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    Rheinmetall, fatturato e risultato operativo in crescita a doppia cifra nei 9M25, backlog sale a 64 miliardi

    (Teleborsa) – Rheinmetall ha alzato il velo sui risultati dei primi nove mesi del 2025. Il fatturato consolidato è aumentato di 1,246 milioni di euro, pari al 20% su base annua, raggiungendo i 7,515 milioni (anno precedente: 6,268 milioni di euro). Le attività con le Forze Armate tedesche stanno diventando sempre più importanti: la quota di fatturato generata in Germania è aumentata di 3,5 punti percentuali, attestandosi al 34% dopo nove mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre la quota di fatturato generata all’estero si è attestata al 66%.Il risultato operativo è stato di 835 milioni, in aumento di 130 milioni, pari al 18%, rispetto ai 705 milioni dell’esercizio precedente. La parte più consistente di questo risultato è stata apportata dalle attività del Gruppo dedicate alla difesa: il risultato operativo derivante dalle attività con le Forze Armate è stato di 825 milioni, con un incremento del 14% rispetto ai 723 milioni dell’esercizio precedente.Principalmente a causa delle spese per l’avvio della produzione delle sezioni centrali della fusoliera dell’F-35 presso lo stabilimento di Weeze/Basso Reno, il margine operativo a livello di Gruppo ha subito un leggero rallentamento, attestandosi all’11,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (anno precedente: 11,3%).L’utile per azione delle attività continuative è migliorato nei primi nove mesi dell’anno fiscale 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, passando da 7,32 a 8,34 euro.Il flusso di cassa libero operativo è diminuito significativamente di 911 milioni, attestandosi a -813 milioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando si attestava a 99 milioni. Tale andamento è dovuto principalmente all’aumento degli investimenti rilevanti per la liquidità, in particolare per la costruzione di nuovi impianti, l’accumulo di scorte e il ritardo nell’emissione degli ordini da parte del cliente tedesco.Il valore di Rheinmetall Nomination è diminuito del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attestandosi a 18 miliardi (anno precedente: 21 miliardi). Questo calo è attribuibile principalmente al rinvio degli ordini dalla Germania a seguito delle nuove elezioni e del ritardo nell’approvazione del bilancio federale a seguito del cambio di governo. Rheinmetall Nomination comprende gli ordini in entrata classici, nonché il volume derivante da futuri richiami nell’ambito di nuovi accordi quadro stipulati con clienti militari e nuovi contratti con clienti civili (nomination).Nonostante un leggero calo di Rheinmetall Nomination, il Backlog di Rheinmetall è salito a 64 miliardi al 30 settembre 2025 (anno precedente: 52 miliardi), a seguito di diversi ordini importanti, in particolare nelle divisioni Electronic Solutions e Weapons and Ammunition. Oltre agli ordini in portafoglio, il Backlog include anche i richiami previsti dagli accordi quadro in essere con clienti del settore difesa e il potenziale derivante da contratti con clienti civili.Rheinmetall conferma che, dopo i primi nove mesi dell’esercizio 2025, rispetterà almeno le previsioni di fatturato e risultato per l’intero esercizio 2025, con una crescita del fatturato consolidato dal 25% al ??30% (fatturato dell’anno precedente: 9.751 milioni di euro). Sulla base di queste previsioni di fatturato, Rheinmetall prevede che il Gruppo, incluse le acquisizioni, conseguirà un miglioramento del risultato operativo e un margine operativo di circa il 15,5% nell’attuale esercizio 2025, tenendo conto dei costi di holding (margine nell’esercizio 2024: 15,2%). LEGGI TUTTO

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    Caro-energia, Confartigianato: “Le piccole imprese pagano per i grandi: 1,9 mld per agevolazioni in bollette energivori”

    (Teleborsa) – Il caro-energia continua a pesare in modo sproporzionato sulle piccole imprese italiane. A denunciarlo è Confartigianato, che evidenzia come il sistema di formazione dei prezzi e la struttura degli oneri di sistema stiano generando gravi squilibri competitivi nel tessuto produttivo nazionale.In Italia, l’80% delle imprese manifatturiere ha meno di nove dipendenti. Sono proprio queste le aziende che pagano di più l’energia elettrica: 184 euro per megawattora, contro una media generale di 137 euro. Inoltre, devono sostenere oneri di sistema che servono per finanziare le agevolazioni nelle bollette delle grandi aziende energivore. Così, ad esempio, una piccola impresa tessile paga 40-50 euro/MWh di oneri in bolletta, mentre una grande impresa dello stesso settore ne paga appena 3-5. Nel solo 2024, questo meccanismo ha spostato 1,9 miliardi di euro da chi consuma meno a chi consuma di più.Inoltre, i piccoli imprenditori finanziano, attraverso la bolletta, il 40% degli investimenti in energie rinnovabili. Ma, nonostante oltre 140 miliardi di euro destinati, in tredici anni, alle rinnovabili, con una copertura del 41% della produzione nazionale, i prezzi in Italia restano ben maggiori rispetto al resto d’Europa.”Se vogliamo mantenere competitivo il nostro sistema produttivo – sostiene il presidente di Confartigianato Marco Granelli – è necessario ristabilire equilibrio ed equità nel costo dell’energia pagato dalle imprese. Oggi, grazie al Sistema Informativo Integrato, possiamo distinguere le tipologie di aziende e intervenire in modo mirato”.Confartigianato propone un intervento strutturale per eliminare le discriminazioni tra categorie imprenditoriali, come il trasferimento dei costi per le agevolazioni agli energivori dalle bollette aziendali ai proventi derivanti dalle aste di CO2. Tale misura, adottata nel 2022, aveva permesso di ridurre significativamente il peso degli oneri per le imprese. Secondo Confartigianato, per rendere strutturale la diminuzione del peso della bolletta sulle imprese artigiane e manifatturiere in bassa e media tensione con consumi inferiori a un milione di kWh l’anno, abbassando gli oneri da 53-44 euro/MWh a 30 euro/MWh, servirebbero circa 1,7 miliardi di euro. Risorse che potrebbero essere rese disponibili, poiché soltanto nel primo trimestre 2025, il GSE ha trasferito 600 milioni di euro di proventi dalle aste di CO2.Confartigianato chiede anche di sostenere l’attività di ARERA per vigilare sui mercati all’ingrosso, dove si sono registrati possibili rincari medi di 9 euro/MWh nel 2023 e di 8 euro/MWh nel 2024, dovuti a comportamenti di trattenimento di capacità da parte di alcuni operatori.”Servono regole chiare, uguali per tutti e rispettate da tutti — aggiunge Granelli — Solo un’Autorità indipendente e forte può garantire equilibrio e tutelare imprese e consumatori. Le piccole imprese non possono essere considerate una sorta di bancomat e la bolletta non può diventare una cartella esattoriale dove si riversano costi impropri come quelli delle concessioni per la distribuzione elettrica. Chi dice di voler sostenere i piccoli imprenditori lo dimostri con i fatti, opponendosi a chi li considera una base imponibile su cui spalmare costi e non una risorsa essenziale per il Paese”. LEGGI TUTTO

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    Azimut, autorizzazione progetto TNB prevista per 2° trimestre 2026 dopo ispezione Bankitalia

    (Teleborsa) – Azimut, gruppo attivo nel risparmio gestito e incluso nel FTSE MIB, ha reso noti gli di una recente ispezione ordinaria di Banca d’Italia su Azimut Capital Management SGR (attiva nella gestione e distribuzione di fondi UCITS e FIA, fondi pensione propri, mandati in delega e servizi di consulenza in materia di investimenti), con gli impegni su questo fronte che permettono maggiore chiarezza e visibilità sui prossimi passaggi regolamentari connessi al progetto TNB, la cui autorizzazione è prevista per il secondo trimestre del 2026.Il verbale di Bankitalia ha individuato aree di miglioramento riferite principalmente all’assetto organizzativo e al sistema dei controlli interni di ACM. La società ha già avviato la definizione di un piano di azione volto a recepire le misure correttive e di rafforzamento richieste, che sarà trasmesso alle Autorità entro il 30 novembre 2025 e implementato entro il termine massimo del 30 aprile 2026. L’attuazione di tali misure assicurerà la piena idoneità di ACM a partecipare alla scissione prodromica all’operazione TNB, così come la completa compliance normativa dei rami di azienda trasferiti a TNB nel contesto dell’operazione stessa.Entro la stessa data del 30 novembre 2025, verrà presentato secondo le richieste di Banca d’Italia un nuovo Piano Industriale 2026-2028 di ACM che definisca in modo puntuale le linee di indirizzo strategico, le prospettive operative e gli sviluppi organizzativi della società, anche nel contesto dell’evoluzione della governance e del suo posizionamento all’interno del Gruppo Azimut. Viene sottolineato che l’ispezione su ACM si riferisce a un periodo precedente all’annuncio dell’accordo vincolante con FSI per la costituzione di TNB (avvenuto il 22 maggio 2025) e non è ad esso collegata. A seguito della piena implementazione delle misure previste dal piano di azione da parte di ACM verrà auspicabilmente rilasciata l’autorizzazione al perfezionamento dell’operazione TNB.Azimut ha anche spiegato che il piano strategico Elevate 2030, che includerà obiettivi per tutte le linee di business e i segmenti della piattaforma italiana e internazionale del Gruppo, sarà presentato integralmente successivamente all’autorizzazione dell’operazione TNB. L’espansione internazionale continuerà a rappresentare un elemento distintivo del modello di Azimut, che mira a rafforzare la propria presenza nei venti Paesi in cui opera e a consolidare la leadership tra i principali player indipendenti a livello mondiale. Azimut punta a raddoppiare nell’arco di cinque anni le masse medie estere dagli attuali 54,6 miliardi a circa 95-110 miliardi di euro entro la fine del 2030, con una marginalità core attesa tra 30 e 40 punti base, rispetto ai 35 punti base attuali.Il vertical Integrated Solutions, ispirato al modello italiano, include Brasile, Egitto, Messico, Taiwan e Turchia e resta il principale motore di crescita, grazie al modello integrato tra fabbriche prodotto e consulenti finanziari di eccellenza. Global Wealth, che riunisce i centri internazionali di Monaco, Dubai, Singapore, Svizzera e Stati Uniti, sta assumendo un ruolo sempre più centrale come motore di espansione per la clientela high-net-worth e ultra-high-net-worth. Institutional & Wholesale concentra le attività istituzionali e di distribuzione in America Latina, Asia, EMEA, Stati Uniti, oltre che in Italia, promuovendo diversificazione e partnership strategiche. Questo segmento rappresenta una leva chiave per l’innovazione e la collaborazione con partner internazionali e beneficerà della recente acquisizione di NSI negli Stati Uniti, la cui finalizzazione è prevista entro la fine del 2025 o l’inizio del 2026. Strategic Affiliates comprende, infine, le partecipazioni in Australia e negli Stati Uniti con Sanctuary Wealth quale pilastro per la crescita nel più grande mercato della consulenza finanziaria. Attraverso questi quattro verticali, Azimut punta a consolidare una crescita sostenibile e diversificata, fondata su leadership di mercato, integrazione operativa e partnership strategiche di lungo periodo. Per la sola piattaforma internazionale, escludendo l’Italia, il Gruppo prevede una raccolta netta annua compresa tra 5 e 8 miliardi di euro fino al 2030.La società, inoltre, conferma il proprio impegno verso la creazione di valore per gli azionisti attraverso iniziative di strategic capital management, inclusa la proposta di un programma di share buyback fino a 500 milioni di euro (pari a circa il 10% del capitale sociale), con successiva cancellazione delle azioni riacquistate. Il piano Elevate 2030 includerà anche un aggiornamento della politica dei dividendi.”Il nuovo piano strategico Elevate 2030 definirà una traiettoria di crescita ancora più ambiziosa, rafforzando la posizione di Azimut tra i player indipendenti a livello globale – ha detto Giorgio Medda, CEO del Gruppo – Puntiamo, entro i prossimi 5 anni, a raddoppiare le masse medie estere, raggiungendo tra i 95 e i 110 miliardi di euro, con una marginalità in continuo miglioramento, valorizzando ulteriormente il nostro modello distintivo”. “Allo stesso tempo, la gestione strategica e disciplinata del capitale rimarrà un pilastro fondamentale della nostra visione, assicurando che la crescita sostenibile si traduca in valore concreto e duraturo per i nostri azionisti, anche attraverso una solida politica dei dividendi e programmi di buyback”, ha aggiunto. LEGGI TUTTO