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Big Data: dentro al business del nuovo “oro nero” digitale

(Teleborsa) – Cresce il mercato italiano dei big data che, nel 2022, – secondo i dati dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano – vale circa 2,41 miliardi di euro (+20% rispetto al 2021). Per le imprese si tratta del nuovo “oro nero” digitale: una volta estratti e raffinati i dati possono, infatti, essere distribuiti e monetizzati. “In Italia, tuttavia, le aziende che noleggiano o vendono dati sono principalmente estere e, sebbene le regole ci siano, molto spesso agiscono in quello che può essere definito un vero e proprio Far west. Specialmente le aziende che operano al di fuori dell’Unione europea, molto spesso, fanno quello che vogliono”. A parlare è Vincenzo Augurio, chairman and Group CEO di Media Asset. Agendo nel rispetto delle norme che regolano il settore, la società – con 16 milioni di anagrafiche – vanta il database proprietario più grande d’Italia. Si tratta del primo network totalmente autonomo che gestisce milioni di dati proprietari, creatività e strategie di mercato in ambito liste Telemarketing, Mailing, Display, Mobile e Leads in tutti i settori. L’azienda conta oltre 30 portali web proprietari e con il marchio BigData.it gestisce miliardi di dati ed offre mezzi efficaci per raggiungere oltre 15 milioni di utenti in tutta Italia profilati per sesso, età, CAP, data di nascita, nome e cognome.

In cosa consiste il vostro business?

“Il nostro core business – spiega Augurio – è commercializzare anagrafiche. Offriamo servizi gratuiti su vari canali – dalla cucina alle petizioni, dai coupon al lavoro fino alle vacanze – in cambio di una registrazione sul portale. I dati di chi ci autorizza li commercializziamo, quelli di chi non lo fa li teniamo esclusivamente al fine dell’invio di newsletter e di informazioni sulla tematica oggetto del sito in questione. Gestiamo e noleggiamo questi dati per un singolo uso, non li vendiamo. Dai nostri cinque canali raccogliamo mediamente 5mila nuovi nominativi al giorno”.

Quali dati comprende un’anagrafica?

“Nome, cognome, sesso, data di nascita, città, provincia e cap. Questi sono i classici dato che prendiamo abbinati a indirizzo mail e numero di cellulare”.

Qual è il costo di noleggio?

“Mediamente 12 centesimi. Il noleggio consiste nel poter contattare un’utente una sola volta nell’arco di 3 mesi dopodiché l’anagrafica deve essere cestinata”.

Come fate ad essere sicuri che tali dati non vengano utilizzato anche oltre il periodo di noleggio?

“In ogni fornitura di dati inseriamo anche numeri di telefono nostri interni assegnando un nome e un cognome a ogni civetta. Se dopo la data di scadenze del noleggio arriva una chiamata a quei numeri sappiamo che la società in questione non sta rispettando i termini”.

Accade spesso?

“Con le grandi aziende non è mai capitato, con le piccole qualche volta capita. Succede più frequentemente con i call center”.

Voi vi occupate direttamente di raccogliere il consenso al trattamento dei dati e fornite contatti di persone di cui avete l’autorizzazione. Con l’intervento del Registro pubblico delle opposizioni è diventata più complessa la gestione dei dati?

“È diventata molto più complessa. Già mediamente per ogni Fub (modulo che permette l’import e l’export delle liste aggiornate dei nominativi che richiedono di non essere più contattati ndr) perdiamo circa il 10% degli utenti. Significa che se noi ne inviamo un milione le persone che possiamo noleggiare sono 900mila e il numero, purtroppo, man mano aumenta sempre di più ogni giorno che passa. Una volta fatto il Fub chi risulta iscritto al registro delle opposizioni lo mettiamo in una black list e non lo contattiamo più”.

Ogni quanto aggiornate queste liste?

“Se dobbiamo fare dieci forniture in un giorno significa che dobbiamo fare dieci controlli in un giorno. Lavorare come si deve in Italia ormai è diventato veramente pesante”.

Sul fronte della cessione dei dati ci sono anche dei fornitori che non si comportano correttamente. Ad oggi c’è una sorta di far west in questo settore?

“Assolutamente si. Purtroppo parecchi vendono i dati di un’azienda, oppure dati rubati, senza passare per il Registro delle opposizioni. Sul web veramente c’è di tutto”.

L’utente quando firma o “flagga” il consenso ai propri dati ha modo di sapere se li sta cedendo a un’azienda seria o se questi dati faranno una brutta fine?

“L’utente può verificare all’interno della privacy del sito se è indicato il dbo (database owner), se si tratta di un’ azienda italiana, se è registrata in Italia, in che modo avviene il trattamento dei dati. Deve essere indicato un indirizzo mail al quale poter inviare richieste e variare i consensi. Un’azienda serie deve mettere a disposizione tutti i canali per far sì che l’utente possa cancellarsi o modificare i propri dati quando lo desidera”.

I dati vengono definiti il nuovo oro nero. In cosa consiste il loro valore?

“Il valore vero e proprio deriva dal noleggio del dato. Noleggiando a una grande società 500mila anagrafiche si possono incassare 70mila euro al mese. E una volta raccolto il dato non ha più spese di investimento. Se un negozio ha mille maglie, una volta vendute non le ha più. Un’azienda che raccoglie dati e li noleggia ce li ha sempre”.

Le aziende che noleggiano i dati li usano per attività di telemarketing?

“Le aziende utilizzano i dati per effettuare chiamate nelle quali offrono, principalmente, servizi di energia, telefonia, finanziamenti. Ma noi non noleggiamo a tutti, esistono, infatti, dei servizi borderline”.

Voi avete dei siti dove offrite contenuti in questo caso coupon eccetera male. Ad oggi tutto il mercato delle app è fatto per raccogliere dati

“Noi non facciamo quel tipo di lavoro però li il guadagno avviene in maniera diversa. Loro riescono a vedere uno dove si trova riescono ad ascoltare la voce a profilare l’utente tipo io dico parlo con mia moglie di batteria di pentole e guarda caso esce la pubblicità delle pentole “.

Quando, visitando i siti internet, si autorizzazioni i cookies cosa accade invece?

“I cookies servono per tracciare i siti visitati dall’utente e rivendere la pubblicità in base agli interessi. Se visita un sito di scarpe di un certo marchio verranno inviate all’utente pubblicità di quel prodotto. Il principio è lo stesso ma il valore di questi dati è molto inferiore perché non vi è un’anagrafica completa ma solo un indirizzo IP. Il valore più alto ce l’hanno le anagrafiche profilate come quelle raccolte dai comparatori relative, ad esempio, alla richiesta di offerte di gas e luce, che possono arrivare a costare anche 10-11 euro l’una in quanto, di fatto, si tratta di richieste di preventivo”.

C’è un mercato anche della vendita delle anagrafiche?

“Sì ma noi non le vendiamo. Il costo di vendita è di circa 10 centesimi. È inferiore al costo del noleggio perché c’è un mercato parallelo: se io vendo un’anagrafica non la vendo a una sola azienda, la posso vendere a 50 aziende. E questo è il problema che è nato in Italia: in questo modo un utente non sa più a chi rivolgersi per cancellare le autorizzazioni. Per legge bisognerebbe informare l’utente che si sta cedendo la sua anagrafica a una certa azienda e fargli firmare il relativo consenso ma quel tipo di mercato molte volte è illegale”.

Voi dovete fate firmare a parte anche il consenso per la cessione dei dati a terzi?

“Assolutamente sì. Si tratta di quattro flag. Per utilizzare i nostri servizi è necessario dare il consenso a termini e condizioni e alla privacy. Con quei due l’unica cosa che si può fare è inviare una newsletter. Un terzo flag ci consente di mandare la pubblicità ma non di cedere i dati e il quarto ci consente di cedere il dato. Il 70% degli utenti dà l’autorizzazione a tutti e quattro”.

Fate una verifica sulle società a cui noleggiate i dati?

“Facciamo una visura camerale, anche se nel 90% dei casi lavoriamo con grandi aziende molto note. Lo facciamo per i piccoli call center e non noleggiamo dati all’estero, soprattutto in Albania, per evitare di noleggiare ad aziende che una volta acquisiti i dati poi li rivendono 20 volte”.

Ci sarebbe bisogno di regolamentare meglio il settore?

“È stato appena siglato il Codice di autocondotta che prevede diversi requisiti tra cui il fatto che un’azienda deve essere italiana. Le regole stanno cambiando. Recentemente abbiamo fatto una riunione con il Mise per il Registro delle opposizioni”.

Perché è importante che le aziende che trattano dati siano italiane?

“È importante che le aziende che fanno dati abbiano server in Italia e certificati ISO 9001 e ISO 27001. In questo caso quando un utente si iscrive viene messo un ‘timbro’ direttamente sul server. In tal modo rimane traccia del fatto che l’utente abbia dato o meno le autorizzazioni al trattamento dei propri dati. Nel caso dei call center esteri il Garante non può vedere il dato sul server ed effettuare tale controllo”.

Sul fronte del Registro delle opposizioni a suo avviso cosa andrebbe cambiato?

“Sono talmente poche le aziende che lo usano che non funziona. Mediamente lo usa solo il 10% delle aziende iscritte”.

E le aziende che non lo usano non incorrono in sanzioni?

“Le sanzioni ci sono ma molto spesso le aziende che non rispettano le regole non vengono beccate perché stanno all’estero. Ci sono operatori illegali, prestanome. Vi sono poi delle vere e proprie truffe. Call center che chiamano per proporre offerte o servizi spacciandosi per qualcun altro al solo scopo di farsi mandare dei soldi o di far cambiare operatore telefonico a un cliente paventando un aumento della tariffa dell’operatore concorrente”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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