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    Auto, ANFIA: preoccupa proposta Ue su taglio emissioni

    (Teleborsa) – “La proposta di revisione del Regolamento europeo sulla riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli industriali (EU 2019/1242) avanzata lo scorso 14 febbraio dalla Commissione europea inasprisce notevolmente il target già fissato al 2030 (da -30% a -45%) e prevede target decisamente ambiziosi per il 2035 (-65%) e per il 2040 (-90%), destando preoccupazione nella filiera produttiva del comparto”. Lo afferma l’Anfia – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica – con un comunicato.”È infatti molto difficile, se non impossibile, sviluppare in così pochi anni, appena sette in riferimento all’ obiettivo del 2030, soluzioni tecnologiche in grado di dimezzare le emissioni di CO2 degli autocarri, mezzi da lavoro che hanno caratteristiche tecniche diverse dalle autovetture e, soprattutto, una grande varietà di allestimenti e di missioni. Pur apprezzando l’inclusione dei motori a combustione interna alimentati a idrogeno, l’obiettivo per il 2040 mina il principio di neutralità tecnologica, che risulta invece fondamentale per salvaguardare e valorizzare competenze già esistenti nell’industria automotive europea – dice l’associaizone – mitigando gli impatti sociali della transizione energetica”. “Solo introducendo nel regolamento un meccanismo di contabilizzazione dei benefici apportati dall’utilizzo dei carburanti rinnovabili, sarà possibile favorire una rapida e sostenibile decarbonizzazione del settore. Desta forte preoccupazione – prosegue l’Anfia – anche la scelta della Commissione di introdurre un obbligo di vendita per i costruttori di autobus urbani che, a partire dal 2030, potranno essere solo a zero emissioni”.”È indispensabile creare le condizioni abilitanti per centrare l’obiettivo: un adeguato sviluppo della rete infrastrutturale, Acea, l’Associazione europea dei costruttori di autoveicoli, stima che già per raggiungere il nuovo target al 2030 siano necessari in Ue almeno 50.000 punti di ricarica pubblici per gli autocarri, di cui 35.000 ad elevate performance e almeno 700 stazioni di rifornimento di idrogeno, misure strutturali di incentivazione all’acquisto dei mezzi a zero emissioni, una politica energetica – si legge – che permetta di generare energia elettrica e idrogeno al 100% da fonti rinnovabili e, non ultima, la sostenibilità dei costi per gli operatori del settore”. “Serve una politica più corrispondente alla realtà per quanto riguarda il settore dell’automotive che è sottoposto a uno stress tale che rischia in Italia di compromettere la tenuta sociale e produttiva di ampie aree del nostro Paese. Chiediamo all’Europa di confrontarsi con la realtà così come siamo stati costretti a fare sia con la pandemia sia con la gerra della Russia in Ucraina. La realtà è l’elemento su cui noi dobbiamo muoverci, dobbiamo essere più pramatici e meno ideologici”, ha detto a margine della Cabina di Regia sull’Internazionalizzazione il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.(Foto: © Veerathada Khaipet/123RF) LEGGI TUTTO

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    Ambiente, presentato oggi a Roma progetto Rotary- Carabinieri forestali

    (Teleborsa) – È stato presentato oggi a Roma, al Teatro dell’Opera, il progetto l’ “Albero di Falcone”, varato dal Distretto 2080 del Rotary (Roma, Lazio e Sardegna) e dai Carabinieri forestali. È rivolto a istituzioni e studenti e incentrato sul rispetto della legalità e dell’ambiente.Durante la manifestazione, svoltasi con il supporto organizzativo di Italian Green Film Festival e presentata da Livia Azzariti, e alla quale sono intervenuti, tra gli altri, il governatore Rotary Distretto 2080 Guido Franceschetti e il gen. C.A. Antonio Pietro Marzo, Comandante Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri, è stato consegnato l'”Albero di Falcone” per la successiva messa a dimora, per tramandare la memoria imperitura del sacrificio del giudice e per sensibilizzare ragazzi e cittadini al tema dell’impegno sociale, della legalità e dell’importanza della protezione dell’ambiente.L’iniziativa si inserisce nel solco de “L’Albero del futuro”, progetto di educazione alla legalità e al rispetto ambientale, promosso nel 2021 dal Ministero della Transizione Ecologica e avviato dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità, che prevede la donazione e messa a dimora nelle scuole italiane di circa 500mila piantine. In questo quadro è stata aggiunta l’offerta di un albero simbolo dell’impegno verso lo Stato e della lotta alle mafie: l’albero di Giovanni Falcone. Alcune talee del famoso ficus macrophylla che cresce nei pressi della casa del giudice assassinato nel 1992 dalla mafia, infatti, sono state prelevate grazie alla collaborazione tra Carabinieri, Fondazione Falcone, Comune e Soprintendenza di Palermo e duplicate nel Centro Nazionale Carabinieri per la biodiversità forestale di Pieve Santo Stefano. Il Centro, struttura all’avanguardia in Europa nello studio e la conservazione di specie forestali autoctone, è riuscito a riprodurre l’albero per generare piccole piante di Falcone da donare alle scuole. L’Albero di Falcone concorrerà a sensibilizzare i ragazzi sul tema dell’impegno sociale ma anche dell’importanza della salvaguardia ambientale. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, ENEA: ricostruita la storia della Baia di Bagnoli a Napoli grazie al DNA

    (Teleborsa) – Ricostruire il DNA ambientale dell’ex zona industriale di Napoli Baia di Bagnoli-Coroglio a partire dal 1830, per comprendere quanto velocemente le comunità degli organismi marini si siano modificate in risposta al deterioramento dell’ambiente. È uno dei principali risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Environment International, frutto di una collaborazione fra diversi gruppi di ricerca italiani e stranieri: Stazione Zoologica Anton Dohrn, ENEA, Università di Ginevra, Università del Salento, Università di Urbino, Università Politecnica delle Marche, Università di Friburgo, Accademia delle Scienze della Polonia.I ricercatori – spiega l’ENEA in una nota – hanno prelevato una carota di sedimento nella Baia di Bagnoli-Coroglio, ex-area industriale del comune partenopeo che si estende su una superficie di circa 249 ettari a terra e 1.453 ettari a mare, hanno datato i vari strati, determinando la concentrazione di sostanze inquinanti e studiando le tracce di DNA degli organismi marini. Queste molecole, infatti, sopravvivono per centinaia di anni ‘intrappolate’ nei sedimenti che si accumulano sul fondo del mare anno dopo anno. Il DNA estratto dall’ambiente – nel nostro caso dai sedimenti – è chiamato DNA ambientale e rappresenta una sorta di “codice a barre”, diverso da specie a specie, che ne permette l’identificazione. È stato possibile quindi ottenere un elenco di organismi marini presenti nel sedimento a partire dagli strati più antichi/profondi della carota (1830) fino al presente. Nella prima metà del 1800, nella Baia di Bagnoli-Coroglio si affacciavano terreni agricoli, mentre sui fondali prosperava Posidonia oceanica e una gran diversità di organismi. Il graduale peggioramento della qualità ambientale a partire dalla prima decade del 1900, quando si insediarono le prime industrie, fino al periodo di massima espansione negli anni 1950-1980 con l’acciaieria Ilva/Italsider, è stato accompagnato da notevoli cambiamenti della comunità biologica. La scomparsa della Posidonia è stata repentina; è cambiata drasticamente sia la composizione degli organismi unicellulari che vivono nell’acqua sia di quelli che vivono nel sedimento; è diminuita la loro diversità e sono aumentate le specie probabilmente in grado di resistere a concentrazioni elevate di idrocarburi e metalli pesanti.Il mare ospita una grande diversità di organismi, dai batteri al plancton microscopico sospeso nell’acqua, dalle alghe e piante marine attaccate al substrato alla miriade di organismi, piccoli e grandi, che vivono sui fondali. Le attività dell’uomo stanno però minacciando l’equilibrio degli ambienti marini, in particolar modo quello delle densamente popolate aree marine costiere, spesso sede di attività industriali. Lo sversamento a mare di inquinanti di vario tipo danneggia gravemente gli organismi marini riducendo la loro diversità: solo alcune specie, infatti, riescono a sopravvivere in acque o sedimenti inquinati. Ora, grazie a questo studio internazionale, è possibile vedere non solo la situazione attuale ma anche capire come era l’ambiente nel passato e quanto velocemente le comunità degli organismi marini si siano modificate in risposta al deterioramento ambientale. Questo studio fa parte del progetto ABBaCo finanziato dal MUR e coordinato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn, finalizzato allo studio della Baia di Bagnoli-Coroglio a ovest della città di Napoli. LEGGI TUTTO

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    Terremoto Turchia-Siria: continua a salire bilancio vittime, la situazione

    (Teleborsa) – Continua a salire purtroppo il numero delle vittime del devastante terremoto che ieri ha colpito Turchia e Siria: al momento il bilancio è di 5.016 morti. Salgono a 3.419 le persone che hanno perso la vita nel sisma che ha colpito il sud est del Paese mentre l’ultimo bilancio siriano è di 1598, secondo le ong. In Turchia, ha aggiunto il vice presidente turco Fuat Oktay, come riporta Anadolu, i feriti sono 20.534.Sono oltre 8000, invece, le persone salvate in Turchia dopo il terremoto che ha colpito il sud est del Paese, ma ci sono state nella notte 312 scosse di assestamento e l’attività sismica nella zona resta alta, ha detto ancora Oktay, come riporta la tv di Stato Trt.Circa 23 milioni di persone, tra cui 1,4 milioni di bambini, sono stati colpiti dal terremoto che ha devastato lunedì la Turchia e la Siria. È quanto stima Adelheid Marschang, Senior Emergency Officer dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), come riporta il Guardian. “Questa è una crisi che va ad aggiungersi a molteplici crisi nella regione colpita”, ha affermato durante la riunione del consiglio dell’organizzazione a Ginevra, “in tutta la Siria, i bisogni sono sempre più alti, dopo quasi 12 anni di crisi prolungata e complessa, mentre i finanziamenti umanitari continuano a diminuire.”L’Unità di Crisi del ministero degli Esteri ha rintracciato tutti gli italiani che erano nella zona del sisma. Tranne uno. Si sta cercando ancora un nostro connazionale, in Turchia per ragioni di lavoro. La Farnesina, fino ad ora, non è riuscita ad entrare in contatto con lui”. Lo scrive su Twitter il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.Intanto, il presidente americano Biden ha chiamato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per esprimergli le condoglianze sue e del popolo americano per il devastante sisma che ha colpito il paese. Biden – ha sottolineato la Casa Bianca in una dichiarazione – ha sottolineato “la disponibilità degli Stati Uniti a fornire tutta l’assistenza necessaria” all’alleato Nato. L’amministrazione americana – ha annunciato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby – sta inviando due squadre di ricerca e soccorso di 79 persone per sostenere le operazioni delle squadre di soccorso turche. Biden ed Erdogan hanno discusso di altra assistenza che potrebbe essere necessaria alle persone colpite dal sisma, dall’assistenza sanitaria ai generi di prima necessità, secondo quanto riporta la Casa Bianca. LEGGI TUTTO

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    Terremoto Turchia-Siria, quasi 2000 morti. Erdogan: “Il più grande disastro dal 1939”

    (Teleborsa) – Continua, purtroppo, a crescere il drammatico bilancio del terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito la notte scorsa il sud della Turchia e il nord della Siria: il numero di morti nei due Paesi è di circa 1.800. Nella sola Turchia sarebbero almeno 1.014 le vittime, mentre in Siria 783. Secondo quanto riferisce l’istituto geologico danese le scosse del devastante terremoto si sono avvertite fino alla Groenlandia. “Il terremoto che ha colpito la Turchia la notte scorsa è stato il più grande disastro registrato nel Paese dal 1939”: lo ha detto oggi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, come riporta il Guardian. Secondo i media, il leader turco si riferiva al terremoto di Erzincan, che provocò la morte di circa 33.000 persone 84 anni fa. Il terremoto di Izmit del 1999, di magnitudo 7.6, si ritiene che abbia ucciso più di 17.000 persone. “Stiamo affrontando il più grande terremoto che abbiamo visto in 24 anni in questa regione. Finora si sono verificate 100 scosse di assestamento. Circa 53 di loro sono più di 4 gradi (sulla scala Richter). Sette di loro sono più di 5 gradi. Possiamo dire che questi terremoti continueranno nei prossimi giorni”. Lo afferma il dottor Haluk Özener, direttore dell’osservatorio Kandilli e istituto di ricerca sui terremoti, come riporta la Bbc in lingua turca.Immagini drammatiche che rimbalzano su tv e social di tutto il mondo mentre Papa Francesco si è detto “profondamente addolorato per l’ingente perdita di vite” provocata dal terremoto nella zona del sud-est della Turchia, assicurando a tutti i colpiti “la sua vicinanza spirituale”. E oltre alla sua “vicinanza” e al suo “cordoglio”, esprime incoraggiamento al personale di soccorso. Analoghi sentimenti il Pontefice li manifesta anche per le vittime causata dal terremoto nella zona del Nord-Ovest della Siria. Lo si legge in due telegrammi inviati, a nome del Papa, dal cardinale Pietro Parolin ai nunzi apostolici in Turchia e in Siria, mons. Marek Solczynski e card. Mario Zenari.Intanto, sono oltre 30 le scosse di terremoto registrate finora in Turchia, inclusa la prima – la notte scorsa – di magnitudo 7.8 e quelle più recenti di magnitudo 7.5 e 6.0.”Abbiamo già pronte le risorse e squadre dedicate per la ricerca in contesti urbani drammatici come quelli che si sono verificati. Esprimo solidarietà e vicinanza al governo e al popolo turco. Noi italiani sappiamo bene cosa vuol dire vivere drammi di questo tipo quindi ci predisponiamo per il meglio per essere partecipi di ogni aiuto. Abbiamo già un modulo pronto dei vigili del fuoco, più altre risorse di natura tecnologica, siamo pronti a partire non appena ci sarà il consenso del paese aiutato. È questione di ore”. Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a Foggia, a margine del comitato per la sicurezza. LEGGI TUTTO

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    Clima: S&P, aumenti temperatura più dannosi per economie in via di sviluppo

    (Teleborsa) – Un aumento della temperatura media annua di 1 grado Celsius per un solo anno risulta più dannoso per i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo che per le economie avanzate. Lo rivela un’analisi condotta da S&P Global Ratings sui dati di 190 Paesi. Lo studio S&P ha rilevato che sette anni dopo tale aumento, il PIL pro capite è inferiore di 0,6-0,7 punti percentuali nei Paesi con temperature medie annue attuali di 22-24 gradi (principalmente nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo) rispetto a quelli con temperature medie di 15 gradi (Paesi con economie avanzate), a parità di altre condizioni. Inoltre, S&P ha riscontrato perdite permanenti di reddito dovute alla riduzione della produttività e degli investimenti, con il settore agricolo che subisce un impatto a lungo termine. Quando le temperature annue sono in media di 24°C, il PIL pro capite dei Paesi meno pronti ad affrontare il cambiamento climatico rimane inferiore di 2 punti percentuali, mentre i Paesi più pronti non registrano perdite durature, a sette anni dallo shock termico di 1°C.Negli ultimi decenni le economie si sono parzialmente adattate ai singoli aumenti di temperatura: la sensibilità del PIL agli shock termici è diminuita di circa il 30% negli ultimi 20 anni. Anche le risposte di politica macroeconomica di sostegno hanno aiutato le economie a riprendersi dagli shock climatici; una politica monetaria restrittiva sembra amplificare lo shock, mentre i bassi tassi di interesse reali sono associati a pochi danni.(Foto: © designua/123RF) LEGGI TUTTO

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    Ambiente, Covid: Enea, SNPA e ISS presentano i risultati del progetto “Pulvirus”

    (Teleborsa) – Come sono cambiate durante lockdown le emissioni e le concentrazioni di inquinanti atmosferici e di gas a effetto serra? Qual è stata l’influenza sulla composizione chimica del particolato atmosferico? Esiste una associazione tra particolato atmosferico e bioaerosol attraverso il quale si trasferisce il virus SARS-CoV-2? Sono alcuni degli interrogativi ai quali ha cercato di dare risposte il progetto Pulvirus, nato nella primavera del 2020 in piena crisi pandemica dall’alleanza fra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA).”Il Progetto si è articolato in sei obiettivi principali con la finalità di approfondire il discusso legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia, le interazioni fisico-chimiche-biologiche fra polveri atmosferiche e virus, gli effetti del lockdown sulle concentrazioni atmosferiche degli inquinanti e dei gas serra” ha sottolineato Gabriele Zanini, responsabile scientifico del progetto Pulvirus per ENEA, nel corso del recente evento organizzato dall’Agenzia per illustrare i risultati dopo due anni di lavoro.”L’obiettivo generale del Progetto – ha dichiarato Alfredo Pini, responsabile scientifico del progetto per il sistema SNPA –era quello di effettuare un’analisi seria e approfondita su queste tematiche, fondata su protocolli scientifici verificabili, cosi` da fornire a istituzioni e cittadini informazioni attendibili utili per la migliore comprensione dei fenomeni e l’assunzione delle opportune decisioni”.”Dai risultati – ha spiegato Ilaria D’Elia, ricercatrice ENEA del Laboratorio inquinamento atmosferico – emerge che nel corso del lockdown a trainare la riduzione delle emissioni inquinanti è stato principalmente il trasporto stradale, con una riduzione di circa il 60% degli ossidi di azoto, del 66% del PM2.5 e dell’87% del monossido di carbonio”.Il settore industriale ha maggiormente inciso sulla riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (circa 90%) e di composti organici volatili non metanici (circa 80%), mentre il residenziale/terziario ha registrato un incremento delle emissioni di PM2.5, per la maggiore presenza delle persone nelle abitazioni e quindi un maggior utilizzo della biomassa (legna e pellet) per il riscaldamento. Il settore marittimo ha contribuito ad una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto di circa l’8% e di ossidi di zolfo di circa il 3%. “In particolare, gli effetti del calo generalizzato delle emissioni sulle concentrazioni di inquinanti e sulle polveri sottili secondarie – ha aggiunto D’Elia – sono stati particolarmente complessi. Si sono osservati: un calo evidente di NO2, un aumento di ozono in aree urbane e un calo modesto di polveri sottili a dimostrazione che interventi mirati in un unico settore non necessariamente portano alle riduzioni di concentrazione auspicate, soprattutto per quanto concerne le polveri sottili”.Per ottenere un quadro più approfondito ENEA ha messo a disposizione i dati del suo Osservatorio climatico di Lampedusa, che per caratteristiche geografiche è un sito rappresentativo delle condizioni del Mediterraneo centrale. “Nonostante rispetto al 2019 le emissioni annuali di CO2 si siano ridotte dell’8,9% a livello nazionale e del 5,4% a livello globale, – ha commentato Giandomenico Pace, responsabile del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima – l’aumento annuo della concentrazione atmosferica di CO2 di fondo non ha subito variazioni evidenti rispetto al periodo precedente al lockdown”.Una questione molto controversa, che fin dagli inizi della pandemia ha suscitato un acceso dibattito nella comunità scientifica, è stata la possibilità che il particolato atmosferico possa agire da carrier in fase aereodispersa, ovvero trasportare il virus SARS-CoV-2 in atmosfera. I ricercatori ENEA hanno provato a rispondere a tale domanda sfruttando il supercalcolatore CRESCO 6 per disegnare modelli molecolari e testare le loro interazioni, mediante simulazioni numeriche di dinamica molecolare classica. “Si tratta di un approccio innovativo e di grande interesse scientifico: la strategia adottata in Pulvirus – ha concluso Caterina Arcangeli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e ambiente – è consistita nella realizzazione di una possibile interfaccia PM-virus, a partire da modelli semplificati di PM2.5 e SARS-CoV-2, che non ha escluso il ruolo del PM come carrier. Ad ogni modo questo primo esperimento numerico non consente di confermare l’esistenza di un legame stabile per tutta la durata dei processi di dispersione e trasformazione del PM in atmosfera e se lo stesso virus rimanga vivo e attivo”.(Foto: © Gerd Altamann / Pixabay) LEGGI TUTTO

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    ISTAT: “La crisi riduce la pressione sull'ambiente, stabile la spesa per la sua protezione”

    (Teleborsa) – Nel 2020 i principali indicatori di pressione dei conti ambientali si riducono dall’anno precedente in misura analoga alla caduta del PIL (-9% in volume). Il consumo netto di energia si attesta a 6,5 milioni di terajoule (-8,8%), le emissioni climalteranti a 392 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 equivalente (-10,2%); il consumo materiale interno a 459 Mt (-7,7%). Più marcata la riduzione del gettito delle imposte ambientali che scendono a 50,4 miliardi di euro (-13,5%). Nello stesso anno diminuisce il valore dei beni e servizi che l’economia produce per la tutela ambientale, che scende a 104 miliardi (-3,6%) mentre la spesa per la protezione dell’ambiente rimane stabile a 43 miliardi.I consumi energetici delle famiglie calano del 9,5% rispetto al 2019; -21% i consumi energetici per il trasporto delle famiglie. Aumenta del 2,7% il numero delle famiglie che nel 2018 effettuano la raccolta differenziata della plastica e del 2,2% il numero di quelle che raccolgono in modo differenziata la carta. +4,0% Aumentano del 4,0% nel 2018 le famiglie servite dal servizio di raccolta dei rifiuti “porta a porta” e un quarto delle famiglie si dichiarano “molto soddisfatte” di tale servizio di raccolta. Il valore aggiunto dei beni e servizi ambientali cala del 3,0%. L’incidenza complessiva sul PIL passa dal 2,3% al 2,5 %. Queste le principali evidenze che emergono dal Report “Economia e Ambiente” dell’Istat relativo agli anni 2018-2020.Effetto della crisi pandemica la riduzione di pressioni e fiscalità ambientale – Nel 2020 i principali indicatori delle pressioni derivati dai conti satellite ambientali sono diminuiti, dal 2019, con ordini di grandezza paragonabili a quelli della contrazione dell’attività produttiva (misurata da una riduzione in volume del PIL del 9%). La dinamica del consumo di energia delle unità residenti, in calo dell’8,8% per effetto soprattutto della riduzione dei consumi delle attività produttive, è risultata in linea con la contrazione del PIL. È invece risultata più accentuata la riduzione delle emissioni di gas climalteranti in atmosfera da attività produttive e famiglie italiane (-10,2%). Diminuisce in misura più contenuta il consumo materiale interno (-7,7% circa) con il conseguente incremento dell’intensità d’uso di materia per unità di PIL. La dinamica delle pressioni per l’economia nel suo complesso è accompagnata da asimmetrie settoriali (osservabili per energia e emissioni). Il settore dei Servizi, che nel complesso registra la maggiore flessione in termini sia di consumo di energia (-13,2) sia di emissioni (-16,5%), comprende, da un lato, le attività con le contrazioni maggiori come il Trasporto aereo (con oltre il 60% di riduzione sia per i consumi energetici sia per le emissioni), dall’altro, quelle per le quali si è osservato un aumento, come Sanità e assistenza sociale e Pubblica amministrazione (rispettivamente del 16,0% e del 9,9% per i consumi di energia e del 13,5 e 20,2% per le emissioni). La contrazione dei consumi di prodotti energetici si è riversata sul gettito delle imposte pagate da imprese e famiglie per il loro uso (principale determinante del calo del gettito complessivo derivante da fiscalità ambientale, -13,5%), che rappresenta uno dei principali indicatori delle risposte che il sistema economico attiva per la protezione ambientale o la gestione delle risorse naturali. In flessione anche il valore aggiunto generato dal settore dei beni e servizi a finalità ambientale, che diminuisce del 3,0% (a prezzi correnti), ma cresce in termini di incidenza sul PIL (dal 2,3% del 2019 al 2,5% nel 2020). Stabili (-0,02%) le risorse spese per la tutela dell’ambiente da famiglie, imprese e Amministrazioni pubbliche. L’incidenza della spesa ambientale sul PIL aumenta al 2,6% dal 2,4% dell’anno precedente.In contrazione i consumi energetici delle attività produttive e delle famiglie – Il fabbisogno complessivo di energia per le attività di produzione e consumo, misurato dal Consumo di energia delle unità residenti (Net domestic energy use, Ndeu), si è ridotto dell’8,8% tra il 2019 e il 2020, a causa della caduta dell’attività economica e delle limitazioni agli spostamenti, attestandosi a 6.477 mila terajoule (era pari a 7.102 nel 2019). Sulla contrazione complessiva dei consumi energetici ha inciso quella delle attività produttive in misura pari a 416 mila terajoule (-8,5%), mentre per le famiglie si è registrato un calo di 208 mila terajoule (-9,5%). Pressoché stabile (+0,3%) l’intensità dei consumi energetici rispetto al PIL, pari nel 2020 a 4,12 terajoule per milione di euro (valori concatenati con anno di riferimento 2015). Nella dinamica dei consumi energetici delle famiglie prevale nettamente la riduzione del trasporto (189 mila terajoule, -20,9%) dovuta alle chiusure e all’adozione diffusa del lavoro a distanza. I consumi in ambito domestico, per riscaldamento e altre finalità, registrano una diminuzione di 19 mila terajoule (-1,5%). Tra le attività produttive, il settore dei Servizi nel suo complesso (Ateco G-S), con 226 mila terajoule in meno, ha contribuito più degli altri settori alla contrazione dei consumi di energia, registrando anche la maggiore riduzione percentuale tra il 2019 e il 2020 (-13,2%). L’attività che ha visto la maggiore riduzione, in termini sia assoluti (-80 mila terajoule circa) sia percentuali (-62,8%) è quella del trasporto aereo (Ateco 51). In un contesto di riduzione dei consumi pressoché generalizzato, fanno eccezione attività che risultano invece in crescita: tra queste figurano quelle che hanno svolto un ruolo di contrasto alla crisi pandemica, quali i servizi sanitari (Ateco 86, +21,2%), l’Amministrazione Pubblica (Ateco O, +9,9%) e la ricerca scientifica (Ateco 72, +4,4%). Nel settore dell’Industria (Ateco B-F), è soprattutto la contrazione del Manifatturiero (Ateco C, -123 mila terajoule, pari a -6,8%) a incidere sul calo complessivo dei consumi energetici (-189 mila terajoule; -6,2%), anche se in termini percentuali la riduzione più pronunciata interessa l’Industria estrattiva (Ateco B -8,2%).Emissioni in atmosfera in calo più del PIL – La contrazione economica indotta dalla crisi è stata accompagnata da un generale rallentamento delle emissioni in atmosfera. Nel 2020 le attività produttive e le famiglie italiane hanno immesso in atmosfera il 10,2% in meno di gas climalteranti rispetto all’anno precedente, l’11,3% in meno di sostanze inquinanti responsabili del fenomeno dell’acidificazione e il 9,5% in meno di inquinanti precursori dell’ozono troposferico. Le stime provvisorie del 2021 mostrano una ripresa delle emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti rispetto al 2020 (+6,2%) con livelli che, tuttavia, non raggiungono quelli del periodo pre-pandemico, confermando la tendenza alla riduzione che si osserva a partire dal 2008 (-28,7% nell’intero periodo 2008-2021). Alla riduzione complessiva delle emissioni climalteranti nel 2020, pari a circa 44 milioni e mezzo di tonnellate di CO2 equivalente (da 436 a 392 Mt di CO2 eq.), contribuiscono soprattutto le attività produttive (-30 Mt di CO2 eq.), da cui derivano circa i tre quarti delle emissioni di gas serra dell’economia italiana (con un lieve incremento del peso dal 74,1 al 74,8%). Le emissioni delle famiglie si riducono in misura proporzionalmente maggiore rispetto a quelle delle attività produttive (rispettivamente -12,7% e -9,3%). Di conseguenza, cala il contributo delle famiglie alla produzione di gas serra dell’Italia, dal 25,9% al 25,2%. Tra le attività produttive, l’Agricoltura, il Trattamento dei rifiuti, la Sanità e l’assistenza sociale e l’Amministrazione pubblica mostrano un andamento in controtendenza rispetto al resto dell’economia, registrando incrementi delle rispettive emissioni tra il 2019 e 2020. L’intensità di emissione scende nel 2020 a 249 tonnellate di CO2 eq. per milione di euro di Pil, dalle 252 del 2019. Tale riduzione (-1,3%) è più debole rispetto a quella degli anni dal 2015 al 2019 (-2,1% medio annuo), periodo nel quale si era verificato un disaccoppiamento assoluto tra le emissioni in diminuzione (-4,2%) e il PIL in aumento (4,4%). In calo anche i flussi di materia – Nel 2020, il consumo materiale interno (Domestic material consumption, Dmc) si è ridotto, in controtendenza rispetto alla sostanziale stabilità negli anni precedenti, attestandosi a 459 milioni di tonnellate (Mt), in calo di 38 Mt rispetto all’anno precedente (-7,7%). Alla riduzione contribuisce sia la componente dell’Estrazione interna (Ei), passata da 331 a 319,5 Mt (-3,5%), sia quella dei Flussi netti dall’estero (Physical trade balance, Ptb; -16,1%). In termini di materiali, impatta sul Ptb soprattutto il calo dei minerali energetici e prodotti da essi derivati (-13,7%, pari a 18 milioni di tonnellate), mentre in termini relativi i minerali metalliferi e prodotti derivati si riducono più marcatamente, passando da 14 a 9,5 milioni di tonnellate (-32%). È soprattutto l’Estrazione interna a contribuire alla diminuzione (da 221 Mt a 208 Mt) della componente del Dmc relativa ai minerali non metalliferi. Nell’ambito dell’Estrazione interna aumenta la quota delle biomasse (dal 30,9% al 32,2% del totale del peso dei materiali estratti internamente e incorporati in prodotti) il cui prelievo in quantità resta stabile tra i 102 Mt e i 103 Mt. Crescono invece le estrazioni dirette dalla natura di minerali energetici (dal 2,3% al 2,7% della Ei). L’intensità del consumo materiale sul PIL è leggermente aumentata, in linea con la tendenza degli ultimi anni, passando da 288 a 292 tonnellate per milione di euro. La quantità e la composizione della materia da cui il sistema socioeconomico italiano trae energia e beni materiali generando residui (tra i quali le emissioni in atmosfera) sono mutate notevolmente nel corso dei decenni, in maniera corrispondente alle modifiche strutturali dell’economia. Le variazioni annuali dovute alle misure di gestione della pandemia devono essere lette nel lungo periodo: soltanto dagli anni 1990 si è invertita la tendenza alla crescita registrata dal dopoguerra e si sono quindi progressivamente ridotte le quantità “consumate”, con una composizione che continua a cambiare in favore dei flussi dall’estero e dei combustibili fossili a scapito dei minerali da costruzione e delle biomasse di estrazione interna.Scende il gettito delle imposte ambientali su energia e trasporti – La generale riduzione delle transazioni economiche che ha caratterizzato il nostro Paese nel 2020 ha comportato anche una riduzione del gettito delle imposte pagate da imprese e famiglie. Le imposte ambientali, che ne rappresentano un sottoinsieme, ammontano nel 2020 a circa 50 miliardi di euro, con una contrazione di 7,8 miliardi rispetto al 2019 più pronunciata rispetto alla media delle imposte (-13,5% a fronte di -7,4%). Diminuiscono anche la quota delle imposte ambientali sul totale delle imposte e contributi sociali (da 7,7% nel 2019 a 7,1%) e l’incidenza sul PIL (da 3,2% a 3,0%), come effetto della contrazione più limitata delle basi di confronto. Nel 2021 si osserva invece una ripresa del gettito delle imposte ambientali, che superano i 53 miliardi di euro, accompagnata tuttavia dalla ulteriore riduzione del loro peso sul totale delle imposte e contributi sociali (6,9%). Quasi il 55% della riduzione complessiva del gettito delle imposte ambientali nel 2020 rispetto all’anno precedente è dovuta al minor esborso da parte delle famiglie residenti, pari a 4,2 miliardi di euro. Con 27,6 miliardi di euro pagati per le imposte ambientali, le famiglie si confermano il soggetto economico che contribuisce maggiormente al gettito complessivo (54,9% nel 2020, quota pressoché stabile rispetto al 2019). Le attività produttive corrispondono nel 2020 circa 22 miliardi euro (43,7% del gettito, quota in lieve aumento rispetto al 43,1% del 2019) con una riduzione di circa 3 miliardi. Per le famiglie, la riduzione del gettito pagato nel 2020 riguarda per il 70% le imposte sugli oli minerali (-3 miliardi circa), soprattutto a causa della contrazione del consumo di carburanti per il trasporto legata alle restrizioni alla circolazione e alle altre misure adottate nel corso della pandemia. Anche per le attività economiche la riduzione complessiva del gettito dipende dalle imposte sugli oli minerali (-1 miliardo circa, pari al 33,2% della riduzione totale) nonché, in misura ancora maggiore, da quelle per l’utilizzo dell’energia elettrica (-1,4 miliardi, pari al 46% del totale). In quest’ultimo caso, la riduzione è legata sia alla contrazione degli impieghi nel contesto del blocco, totale o parziale, dei processi produttivi durante la crisi sanitaria, sia alla riduzione nel corso dell’anno degli oneri di sistema per il sostegno alle fonti rinnovabili. I macro-settori più interessati dalla riduzione del gettito sono le Costruzioni, i Servizi, i Trasporti e il Commercio. È direttamente riconducibile alle restrizioni alla circolazione interna e internazionale anche la riduzione del gettito corrisposto da stranieri e imprese estere di trasporto operanti in Italia (unità non residenti), per l’acquisto di carburanti (imposta sugli oli minerali -38,2%) e l’esercizio del trasporto aereo (imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili -21,6%).Anche nelle ecoindustrie calo della produzione – Nel 2020 la produzione ai prezzi base di beni e servizi ambientali (ecoindustrie) si è attestata a 104 miliardi di euro (a prezzi correnti) e il valore aggiunto a 40,9 miliardi di euro, con una flessione rispettivamente del 3,8% e del 3,0% sull’anno precedente. La contrazione del valore aggiunto del comparto è risultata minore rispetto a quella del PIL(-7,6% in valori correnti), consentendo di registrare una leggera crescita dell’incidenza sul Prodotto interno lordo, passata dal 2,3% del 2019 al 2,5% nel 2020. La produzione delle ecoindustrie è realizzata in prevalenza dal settore degli operatori market, con un valore che si attesta a 78 miliardi nel 2020, corrispondente al 74,8% del valore complessivo del comparto e a un valore aggiunto di 32,3 miliardi di euro. Il restante 25,2% della produzione di questo comparto, stimata per la prima volta dall’Istituto, è realizzata dagli operatori non market (Pubblica amministrazione e Istituzioni sociali al servizio delle famiglie) o svolta in proprio da tutti gli operatori economici, per essere destinata al reimpiego nel processo produttivo (ad esempio attività di recupero di materiali da reimmettere nel processo di produzione) o al proprio consumo finale (ad esempio l’energia solare prodotta e consumata all’interno delle famiglie). Nel 2020 si conferma la prevalenza delle attività svolte in campo energetico, che assorbono quasi il 40% del valore complessivo del comparto, seguite dai servizi di depurazione delle acque e di gestione dei rifiuti, che generano un terzo del valore aggiunto complessivo delle ecoindustrie. La riduzione complessiva osservata per il settore rispetto al 2019 è il risultato di dinamiche differenti a seconda delle finalità ambientali perseguite. Il campo energetico è uno degli ambiti con dinamiche negative, con una flessione del valore aggiunto sia nel valore degli interventi per l’efficienza energetica e dei materiali prodotti per questa finalità (-12,2%), sia nel settore delle energie rinnovabili (-4,4%). In quest’ultimo caso, pur in presenza di un’accresciuta quantità di energia prodotta, è l’andamento del prezzo base a determinare la dinamica negativa. Per contro, i servizi di depurazione delle acque reflue, il comparto dei rifiuti e le attività di disinquinamento, non hanno risentito degli effetti compressivi della pandemia, registrando incrementi del valore aggiunto (rispettivamente di 1,4%, 0,6% e 2,4%). Stabili le spese per la protezione dell’ambiente – Per la prevenzione e riduzione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale, l’economia mobilita risorse, principalmente consumi e investimenti, misurate dalla Spesa nazionale per la protezione dell’ambiente. Nel 2020, la spesa è risultata di 43,2 miliardi di euro, pari all’2,6% del Pil, con una riduzione rispetto al 2019 dello 0,02%.La metà della spesa (oltre 22 miliardi nel 2020, sul 2019 +2,0%) ha riguardato attività di gestione dei rifiuti, quali prevenzione della loro produzione, raccolta, trattamento e smaltimento. Il 23% delle risorse per la protezione dell’ambiente (quasi 10 miliardi nel 2020, in aumento dello 0,8% sul 2019) è stato speso per la gestione delle acque reflue, ovvero per la riduzione degli scarichi, la raccolta e il trattamento dei reflui. Le spese sostenute per le altre attività di protezione dell’ambiente – per aria e clima, decontaminazione del suolo inquinato, riduzione del rumore, salvaguardia della biodiversità e del paesaggio, protezione dalle radiazioni e Ricerca e sviluppo – ammontano complessivamente a più di 11 miliardi correnti (-4,4% nel periodo). Sono le imprese a sostenere la maggior parte delle spese per la depurazione delle acque e per la gestione dei rifiuti (rispettivamente il 62% e 53% del totale 2020), investendo e acquistando tali servizi per la realizzazione delle proprie attività. La spesa delle famiglie per i due settori considerati copre il 27% della spesa totale nel caso della depurazione e oltre il 30% per la gestione dei rifiuti. La parte restante (oltre un miliardo per la depurazione delle acque e circa 3,5 miliardi per la gestione dei rifiuti) è rappresentata dalla spesa delle Amministrazioni pubbliche, costituita da consumi collettivi delle Amministrazioni pubbliche, da acquisti dei servizi in questione e da investimenti di operatori pubblici. Per le attività di protezione dell’ambiente diverse dalla gestione delle acque reflue e dei rifiuti complessivamente considerate, le Amministrazioni pubbliche contribuiscono per oltre il 60% alla spesa complessiva, seguono le imprese, che coprono il 36% circa del totale. La spesa nazionale comprende anche i trasferimenti al Resto del mondo, quali ad esempio i contributi a meccanismi finanziari connessi ad accordi internazionali per la protezione dell’ambiente, al netto dei finanziamenti ricevuti. Questi ultimi prevalgono nei due anni considerati, determinando un saldo negativo. LEGGI TUTTO