(Teleborsa) – Quali risorse e competenze sono necessarie affinché le PMI possano intraprendere un percorso di transizione verso modelli di economia circolare? E quali attori abilitanti ne sostengono l’acquisizione e lo sviluppo, facilitando l’evoluzione del sistema produttivo verso una maggiore sostenibilità? Una ricerca dell’Università LIUC su 50 aziende lombarde e piemontesi, prova a rispondere a queste domande. I risultati sono stati presentati oggi, 18 novembre 2025, in un evento presso l’Università. È il risultato di un percorso di ricerca pluriennale sviluppato dalla LIUC e sostenuto da Intesa Sanpaolo tramite la struttura Education Ecosystem and Global Value Programs, nell’ambito delle attività di collaborazione previste dall’accordo quadro siglato tra la Banca e l’Ateneo. Il progetto, che si colloca tra le iniziative del Green Transition Hub della LIUC, mira a valorizzare il ruolo delle università come motori di conoscenza e partner attivi della transizione sostenibile del tessuto produttivo italiano. La prima fase della ricerca era stata dedicata ad una mappatura dei driver e delle barriere alla transizione circolare delle PMI con l’obiettivo di comprendere i principali fattori di freno e di stimolo alla circolarità. L’attuale indagine approfondisce invece il tema da una prospettiva complementare, analizzando le risorse e le competenze che rendono possibile la trasformazione e il ruolo degli attori esterni che ne facilitano il percorso.
“Il quadro che emerge è quello di un sistema in transizione “ibrida” – dichiara Mario Fontanella Pisa, lecturer della Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC e curatore dello studio – molte PMI hanno introdotto elementi di circolarità, ma in modo parziale e frammentato, senza ancora una visione unitaria del cambiamento. La fase produttiva rappresenta il punto di forza, ma le imprese faticano ad estendere la logica circolare a progettazione, recupero e gestione del fine vita. La trasformazione digitale e analitica (LCA, tracciabilità, dati ambientali) è ancora marginale, ma riconosciuta come area prioritaria di investimento. Infine, la ricerca conferma che la collaborazione è la leva decisiva: senza il contributo coordinato di consulenti, partner tecnologici, università e finanza sostenibile, la transizione rischia di rimanere confinata a singole iniziative isolate. L’obiettivo, però, non è delegare la sostenibilità all’esterno, ma imparare da queste relazioni: le imprese devono fare proprie le competenze acquisite, così che la circolarità diventi parte del loro modo di pensare”.
“La ricerca che sosteniamo con l’Università Liuc – ha detto Elisa Zambito Marsala, responsabile Education Ecosystem and Global Value Programs, Intesa Sanpaolo – rientra tra le iniziative che promuoviamo per supportare una delle linee strategiche che ci sta più a cuore: stimolare una sempre più importante integrazione del mondo accademico con il tessuto industriale, produttivo e dei servizi. Il focus della ricerca è teso ad individuare quali siano le leve che abilitano le imprese all’implementazione dell’economia circolare. Intesa Sanpaolo promuove un ecosistema virtuoso con istituzioni università e imprese per supportare una sempre più consapevole lettura dei fabbisogni di competenze, sostenendo con interventi mirati la formazione della futura leadership italiana”.
Le risorse: tra presenza operativa e lacune strutturali
Le imprese analizzate mostrano una prevalenza di risorse interne legate alla gestione della sostenibilità, in particolare personale dedicato e tecnologie a supporto dell’economia circolare. Seguono, con incidenza minore, forme di accesso a materiali sostenibili o riciclati e la disponibilità di banche dati e documentazione ambientale. Il 16% delle imprese dichiara di non disporre di alcuna risorsa specifica. La fase della catena del valore maggiormente presidiata è quella della produzione (63%), seguita da approvvigionamento (37%) e progettazione (21%), mentre le fasi di uso, post-vendita e recupero restano marginali. Le risorse percepite come più carenti riguardano in particolare gli strumenti di analisi ambientale, come software di Life Cycle Assessment (LCA) e strumenti di progettazione ecocompatibile, ritenuti essenziali per integrare la valutazione degli impatti ambientali nei processi decisionali e di design.
Le competenze: frammentazione e assenza di una regia interna
L’indagine sulle competenze evidenzia un quadro frammentato. Quelle più spesso coperte internamente riguardano la conoscenza normativa e la compliance ambientale, la capacità di innovazione di prodotto/servizio e le competenze tecniche di produzione. Tuttavia, circa un’azienda su quattro dichiara di non disporre delle competenze chiave per la transizione quali la gestione della filiera e della simbiosi industriale, l’analisi e gestione ambientale e l’eco-design. Tale carenza si estende anche alle competenze di governance e di cambiamento organizzativo, evidenziando la difficoltà delle PMI a strutturare funzioni interne in grado di coordinare in modo integrato la sostenibilità.
Gli attori abilitanti: la rete come condizione di efficacia
Per far fronte alle carenze di risorse e competenze interne, il 63% delle imprese dichiara di aver già fatto ricorso a consulenti o società private, mentre solo il 11% ha collaborato con partner tecnologici e il 5% con università o cluster di impresa. Il giudizio complessivo sull’esperienza di supporto ricevuto da soggetti esterni è mediamente positivo (voto 4 su 5 nel 36% dei casi), ma disomogeneo.Guardando all’importanza strategica degli attori per la transizione circolare, partner tecnologici e consulenti privati sono percepiti come più strategici, mentre università e centri di ricerca, insieme agli enti di formazione, ottengono un giudizio di importanza medio-alta. E ancora, associazioni di categoria e cluster di impresa risultano riconosciuti ma non ancora determinanti e i finanziatori mantengono un ruolo percepito come secondario.

