(Teleborsa) – Storicamente, gli Stati Uniti hanno sostenuto in media un deficit delle partite correnti del 3%. Tuttavia, prima del Covid, quel deficit era sceso al 2%, quando l’economia statunitense non era così in piena espansione come l’anno scorso. Si può ipotizzare di voler tornare alla situazione pre-Covid – quindi 1-1,5 punti percentuali sul PIL in meno rispetto alla situazione attuale – ma “pensare di arrivare a zero è impossibile”. Ne sono convinti gli analisti di , che hanno appena pubblicato una ricerca sul tema.
“È impossibile perché ci sono nazioni che stanno attuando politiche di surplus, ci sono ragioni strutturali legate al fatto che si hanno afflussi di capitali perché il dollaro è una valuta di riserva, perché le famiglie sono ricche e stanno invecchiando, e perché gli asset statunitensi hanno un rendimento elevato”, ha spiegato Themos Fiotakis, Global Head of FX & EM Macro Strategy di Barclays in una call con i giornalisti.
Il deficit delle partite correnti degli Stati Uniti è aumentato di 228 miliardi di dollari, ovvero del 25%, raggiungendo 1,13 trilioni di dollari nel 2024, pari al 3,9% del PIL in dollari correnti, in aumento rispetto al 3,3% del 2023.
Secondo Barclays, non esiste una via per l’equilibrio esterno senza un equilibrio interno: forse l’ostacolo maggiore alla riduzione del disavanzo esterno è la necessità di significative riduzioni della spesa pubblica e privata statunitense. Ciò comporterebbe un elevato costo politico. Senza equilibrio interno, e con il rallentamento della crescita tendenziale globale, gli sforzi di aggiustamento si incontreranno probabilmente ostacoli insormontabili.
“Il problema principale è dal punto di vista contabile, non è nemmeno economico – ha detto Fiotakis – Non si può ridurre di molto il deficit se l’economia nazionale spende molto. E, al momento, il settore privato statunitense spende molto e lo fa da anni. Inoltre, sappiamo che il governo sta spendendo ingenti somme, quindi il governo potrebbe ridurre il proprio bilancio, ma questa è una soluzione estremamente impopolare“.
Si ritiene spesso che la valuta sia l’opzione meno dolorosa per ridurre il deficit statunitense. L’amministrazione Trump sembra essere d’accordo con questa idea. Non solo ne ha parlato apertamente in passato, ma si possono anche considerare i dazi come un modo artificiale per ottenere effetti simili sul cambio. In altre parole, un dazio rende un bene estero più costoso per il consumatore nazionale rispetto allo stesso bene prodotto internamente.
In ogni caso, “il deprezzamento del tasso di cambio non è una via d’uscita facile”: finché la spesa si manterrà al di sopra del potenziale, il deprezzamento reale del tasso di cambio richiederà politiche fortemente inflazionistiche, che a loro volta richiederanno un deprezzamento nominale del tasso di cambio ancora più ampio. Tutto ciò “sarebbe piuttosto irrealizzabile e molto destabilizzante per il sistema finanziario globale“, ha sottolineato Fiotakis. In ogni caso, nel contesto del ciclo economico statunitense e delle ritorsioni estere, i dazi non rappresentano un’alternativa facile, sostengono gli analisti di Barclays.
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