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    Pensioni, 9 Paesi in cui andare a vivere per pagare meno tasse

    29 Settembre 2020

    Fisco più morbido, stile di vita più rilassato, meno burocrazia, clima decisamente più mite, con impatti notevoli sui costi della vita, e sistemi sanitari all’avanguardia. Sono tanti i motivi che spingono ogni anno i pensionati italiani a lasciare il Belpaese per altri lidi, vicini o lontani. Oggi, purtroppo, la tassazione italiana sulle pensioni è fra le più alte in Europa e oscilla, a seconda del reddito, tra il 23 e il 43%. Per i 5,5 milioni destinatari di un assegno pensionistico inferiore ai 1.000 euro al mese, emigrare potrebbe davvero rappresentare una svolta in termine di qualità della vita. LEGGI TUTTO

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    Pensioni nel sud Italia: tutte le agevolazioni del Fisco

    Vivere da pensionati nell’Italia meridionale, oggi, può essere davvero conveniente. Non solo per gli stranieri titolari di trattamenti pensionistici esteri, ma anche evidentemente per gli emigrati italiani e per chi è titolare anche di una pensione italiana. Lo conferma con risposta a specifico interpello l’Agenzia delle Entrate.

    Doppia pensioneSe nel corso della sua vita il pensionato ha versato contributi sia al sistema pensionistico estero sia a quello italiano (come l’INPS), maturando due differenti trattamenti pensionistici, in entrambi i paesi, può in ogni caso di fruire del regime fiscale agevolato (imposta sostitutiva sui redditi al 7%) se si sceglie il trasferimento di residenza nel territorio italiano.
    Ovviamente, quanto sopra è in relazione alla pensione e ai redditi esteri. I redditi di pensione erogati dall’INPS o altra cassa italiana saranno infatti tassati con il regime ordinario.

    NazionalitàNon ha importanza la nazionalità del soggetto, purché sia soddisfatto il presupposto della residenza fiscale all’estero per il periodo indicato dalla norma e che l’ultima residenza sia stata in un Paese con il quale siano in vigore accordi di cooperazione amministrativa in ambito fiscale.
    Sud ItaliaIl beneficio scatta per chi sposta la residenza in uno dei comuni del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia con popolazione non superiore a 20.000 abitanti) o in uno dei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti delle zone colpite dai terremoti del 2016 e 2017 (compresi negli allegati 1, 2 e 2-bis al decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2016, n.229). LEGGI TUTTO

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    Pensioni: entrate in aumento, i conti INPS tengono

    I dati provvisori sulle entrate tributarie, acquisiti al 20 agosto, ”mostrano un andamento superiore alle attese e una situazione complessiva in via di miglioramento per l’economia italiana”. E’ quanto afferma il ministero dell’Economia in una nota.

    Nel mese in corso, infatti, si è registrato ”un rialzo del 9% delle entrate versate dai contribuenti con il modello F24 rispetto allo stesso mese del 2019, sostenuto dal buon andamento dell’Irpef e dell’Ires versate in autoliquidazione”.
    Stessa tendenza per l’Inps, l’istituto previdenziale, nei dati del rendiconto generale per il 2019. E’ infatti confermata la tenuta dei conti e la sostanziale solidità finanziaria del complesso delle gestioni previdenziali ed assistenziali dell’Istituto. In particolare, il risultato finanziario di parte corrente, passa da 2,255 miliardi di euro nel 2018 a 6,783 miliardi nel 2019. Si tratta del miglior risultato finanziario di parte corrente degli ultimi dieci anni.

    Mef e entrate tributarieIl Mef osserva dati di gettito delle imposte versate in autoliquidazione, ancora provvisori ”ma riallineati per tener conto delle diverse tempistiche di versamento nei due anni considerati”, mostrano infatti una crescita dell’Irpef del 3,3% e dell’Ires del 4,8%, mentre l’Irap mostra una variazione negativa del 49% legata alla misura del decreto rilancio, che ha cancellato il versamento del saldo 2019 e della prima rata dell’acconto 2020 per le imprese con fatturato non superiore a 250 milioni. Al netto della variazione dell’Irap, il gettito dell’autoliquidazione risulta quindi superiore al 2019 per circa un miliardo di euro.
    Un risultato complessivamente migliore delle previsioni è legato anche ai versamenti effettuati dai contribuenti Isa, il cui gettito è risultato inferiore di quello del 2019 per un importo limitato a circa 700 milioni, dato concentrato nei versamenti a saldo. Mostrano segnali positivi anche i versamenti Iva di agosto dei contribuenti che versano su base mensile (riferiti alle operazioni effettuate nel mese di luglio), che appaiono in linea con lo stesso mese del 2019: un primo segnale nella direzione di una possibile inversione di tendenza nei prossimi mesi che potrebbe portare i versamenti su valori positivi rispetto allo scorso anno.
    Complessivamente nel mese di agosto il gettito Iva sugli scambi interni mostra una flessione limitata al 5,3%, ascrivibile interamente ai versamenti dei contribuenti trimestrali, che ad agosto hanno versato l’Iva relativa alle operazioni dei mesi di aprile, maggio e giugno, in cui molte delle attività sono state soggette a chiusura.
    Le ritenute da lavoro dipendente mostrano una sostanziale tenuta, con una flessione limitata a circa 150 milioni, che deriva dal calo del 6,7% delle ritenute del settore privato e dal rialzo del 6,3% di quelle del settore pubblico, nelle quali confluiscono anche le ritenute dei lavoratori privati che beneficiano della cassa integrazione, versate dall’Inps.
    Inps e pensioniLe entrate contributive passano da 231,166 miliardi nel 2018 a 236,211 miliardi nel 2019, con un incremento del 2,2%; le prestazioni istituzionali totali, di natura previdenziale ed assistenziale, ammontano a 331,056 miliardi, con un incremento del 4% rispetto al 2018.Nel 2019 la spesa complessiva riferita alle prestazioni pensionistiche, che include anche la componente di natura assistenziale, è pari a 262,299 miliardi e rappresenta il 14,7% del Pil. Il patrimonio netto a fine 2019 è pari a 39,759 miliardi.
    Occorrerà ovviamente capire come andrà il 2020, su cui pesa la pandemia da Covid. Secondo quanto riporta l’Inps in una nota, “i primi dati relativi agli incassi di luglio 2020, ancorché parziali, evidenziano una sostanziale ripresa delle attività produttive nel paese“. LEGGI TUTTO

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    Fisco, UIL: “Sistema iniquo. Irpef per il 94,7% versato da dipendenti e pensionati”

    (Teleborsa) – L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) risulta pagata per il 94,7% da lavoratori dipendenti (60,3%) e pensionati (34,4%), mentre solo il 5,3% del gettito netto è versato da altre tipologie di contribuente. È quanto rileva la Uil in uno studio, realizzato dal servizio politiche fiscali del sindacato sulla base dei dati forniti dal Mef, volto a evidenziare in che percentuale le diverse imposte contribuiscono a finanziare le spese dello Stato.

    Analizzando le entrate erariali del 2018 lo studio evidenzia come le imposte dirette di carattere nazionale – quindi senza le addizionali regionali e comunali dell’Irpef – e le imposte indirette come accise, Iva, le imposte sui tabacchi e sui giochi d’azzardo, abbiamo generato nel 2018 un gettito totale pari a 463 miliardi di euro. Di questi il 53% pari a 247.771 è composto da imposte nazionali dirette, mentre il 47% (216.004 euro) da imposte indirette.
    Riguardo al contributo delle singole imposte al gettito nazionale il rapporto rileva che dalla sola Irpef nazionale arrivi il 40% delle entrate dello Stato, mentre la seconda fonte di entrate con il 29%, è rappresentata dal gettito Iva, imposta sul valore aggiunto.

    “Dalle dichiarazioni dei redditi 2018 risulta che il 94,7% del gettito Irpef è versato dai soli lavoratori dipendenti e pensionati. Questo è un dato rilevantissimo perché l’Irpef – commenta Domenico Proietti, segretario confederale Uil – rappresenta il 40% delle entrate erariali del nostro paese. Questa situazione fotografa l’iniquità del sistema fiscale italiano e non è più sopportabile”. Da qui l’appello di Proietti per “varare una vera riforma del nostro sistema fiscale che tagli le tasse a chi le paga, vale a dire ai lavoratori dipendenti e pensionati, attraverso un significativo aumento delle detrazioni”. Per la Uil è urgente che “il Governo apra un confronto con i sindacati per arrivare a una complessiva riforma del fisco, che ridisegni le aliquote Irpef e gli scaglioni, rispettando il principio di progressività previsto dalla Costituzione e, contemporaneamente, attuando una svolta nella politica di lotta all’evasione fiscale per recuperare i 110 miliardi di euro che ogni anno sono sottratti alle casse dello Stato”. LEGGI TUTTO

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    Fisco, Ruffini: “Fisco è una giungla. Necessaria grande riforma”

    (Teleborsa) – Non un sistema fiscale, una giungla. Così il numero uno dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, definisce il fisco italiano, aggiungendo che è “impossibile da comprendere per chiunque, del tutto incontrollabile” e caratterizzato da “frammentazioni assurde”.

    “Adesso c’è da rifare l’edificio”, afferma Ruffini in una intervista a La Repubblica, aggiungendo che la crisi innescata dal Covid è “un’occasione da non perdere” per fare la grande riforma fiscale, ma “è necessario prima di tutto fare ordine: soltanto così potremo decidere come agire”.
    “Bisogna partire dalle fondamenta”, dice il Direttore dell’Agenzia, lanciando la proposta di raccogliere in cinque testi unici – imposte dirette, indirette, accertamento, riscossione e contenzioso – “una materia immensa di cui nemmeno gli esperti conoscono i confini”. “Una volta fatto ordine – aggiunge – ecco che bisogna iniziare a sfrondare. E cambiare”.

    “È arrivato il momento di mettere non i tributaristi, ma ogni cittadino nelle condizioni di conoscere il sistema fiscale”, afferma il titolare dell’Agenzia, richiamando il “patto fiscale” ed il principio di democrazia.
    “Ridurre le imposte in un Paese come il nostro dove l’imposizione è così elevata sarebbe doveroso. Ma la semplificazione del rapporto fra fisco e cittadini è altrettanto importante“, conclude. LEGGI TUTTO

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    Riforma pensioni, Quota 41? Cosa dobbiamo aspettarci dal 1° gennaio 2022

    Ad oggi, l’unica informazione certa è che la riforma delle pensioni arriverà entro il 1° gennaio 2022, e cioè alla scadenza della tanto discussa Quota 100 (62 anni di età + 38 di contributi), che chiuderà la sua parabola il 31 dicembre 2021.
    Pensioni, cosa succederà dal 1° gennaio 2022
    La previdenza pubblica andrà ulteriormente tagliata, perché questa è la direzione sempre più marcata che ha preso l’Europa, ma non è detto che il sistema pensionistico italiano venga completamente smantellato. Certo è che la crisi economica, soprattutto post Covid, pesa moltissimo, e le condizioni che l’Italia dovrà accettare per sfruttare in cambio il Recovery Fund certamente saranno vincolate.
    Cosa succederà allora, nel 2022? Nessuno lo sa. Ma ciò che appare sempre più probabile è che non ci sarà spazio né per Quota 41, né per una legge Fornero bis.
    La legge Fornero
    Ricordiamo che la manovra “Salva-Italia” con cui fu introdotta la riforma Fornero nel 2012 spinse il sistema pensionistico italiano verso il modello contributivo, secondo cui quanto maggiori erano stati i contributi durante la carriera del lavoro, tanto maggiore sarebbe stato l’assegno pensionistico.
    Restavano comunque i due criteri di pensionamento dell’anzianità anagrafica e degli anni di contributi versati. Con il primo criterio si ottiene la pensione a 66 anni. Requisito fondamentale è quello dei 20 anni almeno di contributi versati. Per chi voglia andare prima in pensione gli anni di contributi minimi non sono più 40, ma 41 e un mese per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini, con un incremento graduale negli anni a venire di qualche mese.
    Quota 41, per chi?
    Oggi, l’ipotesi allo studio del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo che sembra la più gettonata in seno alla maggioranza è una riforma del sistema pensionistico che estenda Quota 41 a tutti i lavoratori per superare lo scalone con la fine di Quota 100. Quota 41 altro non è che il ritiro dal lavoro con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età compiuta. Ma come funziona Quota 41? I requisiti per accedervi sono:
    almeno 12 mesi di contributi versati, non per forza continuativi, prima del compimento dei 19 anni di età;
    41 anni di contributi maturati;
    appartenenza ad una delle 5 categorie tutelate: disoccupati, invalidi, caregiver, lavori usuranti, lavori gravosi.
    Non basta però essere un lavoratore precoce per accedere a Quota 41. Questa è riservata solamente a coloro che fanno parte anche di una delle seguenti categorie:
    dipendenti e autonomi con invalidità accertata pari o superiore al 74%;
    dipendenti disoccupati a seguito di licenziamento o dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, e che abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi;
    i cosiddetti caregiver: ossia coloro che assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità.
    lavoratori che svolgono da almeno sei anni all’interno degli ultimi sette attività lavorative usuranti e gravose;
    Cosa dice l’Inps
    Quota 41 però non fa impazzire l’Inps. Il presidente dell’Istituto Pasquale Tridico ha spiegato che è “certamente” un’opzione, “ma non mi piacciono le quote strettamente rigide”.
    Secondo lui Quota 41 dovrebbe essere affiancata da coefficienti di gravosità del lavoro, in modo da prevedere delle uscite flessibili per tutti. Ovvero, si dovrebbe prevedere un’età di uscita dal lavoro per ogni categoria di lavoratore. “Ci sono infatti lavori diversi” spiega. “Ci sono persone che possono uscire più tardi e altre prima”. LEGGI TUTTO

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    Pensioni: frenata Quota 100, ma scende età pensionabile nel 2020

    Mentre si discute di una possibile riforma del sistema pensionistico, l’ultimo monitoraggio Inps riguardante le pensioni italiane ha registrato un interessante andamento nel 2020: quest’anno sono state di meno le persone che hanno scelto l’uscita anticipata dal lavoro, mentre è scesa l’età pensionabile.
    Pensioni, meno persone hanno fatto ricorso a Quota 100 nel 2020
    A fronte di un aumento delle pensioni di vecchiaia, l’Inps ha registrato nel primo semestre del 2020 una notevole frenata dei pensionamenti anticipati. A Quota 100, in particolare, hanno fatto ricorso meno di 100 mila persone (97.671 secondo i dati aggiornati al mese di giugno). Numeri importanti, certo, ma non come quelli del 2019, quando le domande per accedere a Quota 100 avevano registrato una notevole impennata, permettendo l’uscita dal lavoro prima del previsto a ben 204.741 lavoratori.
    Aumentano le pensioni di vecchiaia
    Il monitoraggio Inps ha fatto luce anche su un altro aspetto, come anticipato sopra: nel 2020 – rispetto al 2019 – sono aumentate le pensioni di vecchiaia. Secondo i dati rilasciati dall’Istituto, inoltre, sono state più le donne che gli uomini a scegliere questa forma di ritiro.
    Basta pensare che il totale di lavoratrici che è andata in pensione a fine giugno (318.370) rappresenta più della metà del totale dei nuovi pensionamenti avvitati dall’Inps per tutto il 2019 (573.944). Nei primi sei mesi dell’anno la percentuale di nuove decorrenze, inoltre, è passata da 96 a 114.
    Più utilizzati dai lavoratori uomini, invece, i ritiri con pensionamento per anzianità. Dietro a questa situazione, come gli esperti hanno sottolineato, non c’è una vera e propria libera scelta dei contribuenti. Probabilmente, il maggior ricorso alla pensione di vecchiaia rispetto a quella di anzianità da parte delle lavoratrici donne è solo il risultato di una situazione di lavoro frammentario e spesso più precario degli uomini. Questi ultimi, infatti, arrivano più forti al ritiro e, di conseguenza, anche alla pensione per anzianità.
    Scende l’età pensionabile nel 2020
    Guardando al fondo lavoratori dipendenti, infine, il numero delle pensioni di vecchiaia liquidate tra gennaio e giugno è stato pari a 34.823, mentre nello stesso periodo del 2019 erano 10.700.
    L’età media alla decorrenza delle nuove pensioni di vecchiaia, inoltre, è stata pari a 67 anni, mentre per i pensionamenti anticipati è stata pari a 61 anni e 4 mesi per gli uomini e 61 anni per le donne. Il monitoraggio Inps dimostra che c’è stato un calo dell’età pensionabile nel 2020 rispetto al 2019, un anno in meno rispetto alla media degli anticipi dello scorso anno.
    Anche questi dati, oggi, devono essere letti guardando il quadro generale. L’età pensionabile è probabilmente scesa anche a seguito delle numerosi crisi aziendali, che hanno spinto molte realtà a ricorrere prima – in alternativa a licenziamento e cig – alle varie forme di uscita anticipata dal lavoro. LEGGI TUTTO

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    Pensioni, quattordicesima e Ape social: cosa prevede la riforma Catalfo

    È tempo di riforme, ce lo chiede l’Europa e ne è anche consapevole l’Esecutivo di quanto sia importante intervenire sul sistema previdenziale italiano dopo l’emergenza Coronavirus. Per questo motivo, con l’obiettivo di fronteggiare la crisi e investire nella ripresa, la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha dichiarato di voler intervenire sul sistema pensionistico italiano, prorogando ed estendendo molte delle misure già attive (come quattordicesima, Opzione Donna e Ape social).
    Riforma pensioni: a lavoro per sostituire Quota 100
    Che Quota 100 non verrà prorogata pare ormai essere certo. Il Governo, difatti, è a lavoro per sostituirla. Alla riforma delle pensioni l’Esecutivo sta già lavorando e, dopo aver riaperto il confronto con le associazioni sindacali, è deciso ad agire su più fronti.
    Prima di tutto, stando a quanto riportato da AdnKronos, la Ministra Catalfo avrebbe comunicato ai sindacati di voler intervenire con una legge delega che entrerà in vigore già a partire da gennaio 2022. Un anno di tempo, quindi, per lavorare e intervenire sul sistema pensionistico italiano, non escludendo comunque interventi di riforma che potrebbero già trovare posto nella prossima Legge di Bilancio.
    Addio Quota 100, Governo verso proroga Ape social e Opzione Donna
    Tra i provvedimenti che potrebbero essere approvati già nella prossima Legge di Bilancio c’è la proroga di Opzione Donne e Ape social. Uno degli argomenti al centro del tavolo delle trattative è proprio quello relativo all’età pensionabile.
    Con l’addio a Quota 100, dunque, altre forme di pensionamento anticipato potrebbero essere confermate e rafforzate, proprio per riconoscere ai lavoratori in difficoltà e/o appartenenti a determinati categorie un’uscita dal lavoro agevolata e in grado di tutelare la loro posizione retributiva e contributiva.
    Ampliamento della quattordicesima nella prossima finanziaria
    Una delle richieste avanzate dai sindacati riguarda l’ampliamento della quattordicesima. Ad oggi la stessa viene riconosciuta ai pensionati che hanno compiuto 64 anni di età e con un reddito complessivo pari ad una somma non superiore al doppio del trattamento minimo spettante (e quindi poco più di 1.000 euro).
    Quello che chiedono i sindacati è l’aumento dei limiti reddituali, con un’estensione della quattordicesima a tutti coloro i quali hanno un’assegno pensionistico non superiore ai 1.200 euro.
    Secondo l’AdnKronos il Governo si sarebbe detto propenso a procedere verso questa direzione, tant’è che l’estensione della quattordicesima, come la proroga di Opzione Donna e dell’Ape social, potrebbe arrivare prima del previsto, già con la prossima finanziaria. LEGGI TUTTO