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    INPS: nel 2023 pagate 310mila pensioni all’estero

    (Teleborsa) – Sono state oltre 310mila le pensioni pagate all’estero dall’Inps nel 2023, per un importo complessivo di circa 1,6 miliardi di euro, e rappresentano il 2,3% del totale delle pensioni erogate dall’istituto. Sono i dati illustrati da Massimo Colitti, dirigente area pensioni in regime internazionale e pagamento delle pensioni all’estero dell’Inps, durante il convegno @migrazione da fenomeno sociale a fattore identitario, a palazzo Wedekind, a Roma. Il pagamento delle pensioni all’estero interessa circa 160 Paesi, e la maggior parte si localizza in Europa, dove viene erogato quasi il 60% del totale, seguita da America settentrionale (21%), Oceania (10%), America meridionale (7%).Tra 2019 e 2023 si è registrata una diminuzione del 6,7% del numero delle pensioni erogate all’estero, dovuta alla riduzione di quelle pagate nei Paesi di emigrazione più antica.In particolare, forte decremento del numero dei pagamenti in America meridionale, settentrionale e Oceania (-31,2%, -19,4% e -19,1%), che ospitano i pensionati più anziani. Al contrario, LEGGI TUTTO

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    PNRR, Foti: raggiunto 54% obiettivi, spesi 61 miliardi

    (Teleborsa) – Il numero di obiettivi del PNRR da raggiungere sono 621 e al 31 dicembre 2024 quelli “raggiunti sono stati 337 pari al 54%”. Così il ministro degli Affari europei, Pnrr e politiche di coesione, Tommaso Foti, illustrando le linee programmatiche del dicastero nelle commissioni congiunte politiche Ue di Camera e Senato. Al 30 novembre, secondo i dati del Mef “che rispecchiano una situazione di tre mesi prima – ha detto Foti – siamo a 61 miliardi di euro di spesa, un dato che non tiene conto però degli effetti che penso possano essere importanti soprattutto per il sistema degli enti locali”Foti ha poi ricordato che “abbiamo tre rate di fronte a noi ancora da poter richiedere e 284 obiettivi da raggiungere. È un impegno che deve essere svolto con la massima attenzione per evitare facili entusiasmi per poi trovarsi cocenti delusioni”. Il ministro degli Affari europei ha aggiunto che “siamo il primo Paese che ha chiesto sia la sesta che la settima rata e quando anche la settima rata sarà liquidata, raggiungeremo i 140 miliardi a nostra disposizione. Non abbiamo solo obiettivi di spesa, abbiamo anche obiettivi di riforma”.Quello del Pnrr è un “argomento delicato” e “assicuro che il Parlamento sarà coinvolto” nella discussione, ha detto ancora Foti. “Intendo investire i due rami del Parlamento – ha detto – sono dell’avviso che vada fatta una discussione alla Camera e una al Senato nel momento in cui abbiamo una proposta da poter formulare. Ritengo che non sia privilegio di pochi poter sapere di un argomento che interessa tutti. So cosa ho detto quando è stato discusso la prima volta il Pnrr, ritenendo che non avesse avuto tempi consoni di discussione. Non voglio ricadere nell’errore al contrario” LEGGI TUTTO

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    BPER Banca, nel 2024 migliorano i rating di sostenibilità

    (Teleborsa) – Nel 2024 BPER Banca ha ottenuto un miglioramento del giudizio in merito alla propria gestione delle tematiche ambientali, sociali e di governance da parte di alcune delle principali agenzie di rating ESG internazionali, quali S&P Global Sustainable1, Moody’s Analytics e Sustainable Fitch. Questi riconoscimenti testimoniano la validità del percorso strategico intrapreso dalla Banca, che ha integrato obiettivi di sostenibilità nel proprio Piano industriale. BPER ha dimostrato una gestione efficace delle tematiche ESG attraverso l’implementazione, ad esempio, di un Piano per la riduzione dei consumi energetici, il supporto alla transizione ecologica di famiglie e imprese con un plafond dedicato di 7 miliardi di euro e un ruolo di partner strategico, il sostegno a iniziative di inclusione sociale nelle comunità locali in cui opera, la promozione della diversità e dell’inclusione all’interno dell’organizzazione e il continuo miglioramento delle pratiche di governance aziendale.”Gli upgrade nei principali rating ESG e l’inclusione nel FTSE4Good Index Series – ha dichiarato Simone Marcucci, chief financial officer di BPER Banca – premiano il nostro costante impegno e il lavoro svolto sempre con grande cura e responsabilità. Siamo fieri di vedere come il percorso intrapreso abbia beneficiato di tali riconoscimenti ed è nostra intenzione continuare in questa direzione”.I rating nel dettaglioS&P Global Sustainable1: nel 2024 BPER ha ottenuto 69 punti nel S&P Global Corporate Sustainability Assessment (CSA) riflettendo un miglioramento di 9 punti rispetto al 2023.Moody’s Analytics: nel 2024, la valutazione condotta da Moody’s Analytics su BPER è stata “Advanced” (range da “Weak” ad “Advanced”). Il punteggio ESG è migliorato da 59 a 63/100 a luglio 2024.Sustainable Fitch: nel 2024 BPER ha migliorato il proprio rating passando da 3 a 2 (range da 5 a 1, dove 1 è il migliore) e ottenendo uno score di 63.Nel 2024 l’agenzia Standard Ethics, rispetto all’anno precedente, ha assegnato un outlook positivo a BPER Banca, confermando il rating EE+.Viene riportato, infine, l’inserimento nell’indice FTSE4Good Index Series, creato dal fornitore globale di indici FTSE Russell, che misura la performance delle aziende che dimostrano solide pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG). LEGGI TUTTO

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    INPS, pensioni anticipate in calo nel 2024

    (Teleborsa) – Nel 2024 le pensioni anticipate rispetto a quelle di vecchiaia, per il totale delle gestioni, risultano più basse rispetto all’anno 2023, scendendo al 15% in meno rispetto a quelle di vecchiaia. Secondo i dati diffusi dall’Inps sono state 215.058 a fronte delle 255.119 del 2023.Dall’analisi degli indicatori statistici si osserva anche che il rapporto tra le pensioni di invalidità e quelle di vecchiaia nel 2024 è diminuito di 3 punti percentuali rispetto al precedente anno, risultando pari al 21%. Inoltre la percentuale delle pensioni femminili su quelle maschili presenta nel 2024 un valore uguale a quello del 2023 attestandosi al 113%. A livello territoriale il peso percentuale delle pensioni liquidate a residenti nel Nord Italia resta invariato (51%). LEGGI TUTTO

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    Imprese: nel 2024 aperture in crescita ma le chiusure accelerano

    (Teleborsa) – Alla fine del 2024 l’anagrafe delle imprese italiane registra un bilancio positivo, con un saldo tra aperture e chiusure che si attesta a +36.856 unità nei dodici mesi da poco conclusi. Alle 322.835 iscrizioni di nuove attività economiche hanno fatto eco 285.979 cessazioni di attività esistenti, per un tasso di crescita della base imprenditoriale che si attesta a +0,62% (contro +0,70% del 2023). Le dinamiche demografiche del sistema produttivo fanno tuttavia emergere segnali di difficoltà in particolare sul fronte del ritmo delle aperture di nuove imprese, segnato da uno dei tassi di natalità più contenuti degli ultimi 20 anni (peggio si è fatto solo negli anni del Covid) e dell’ampliarsi del fenomeno delle “culle” vuote in un numero crescente di comuni italiani. Nel 2024, infatti, i registri anagrafici delle imprese hanno registrato uno “zero” nei territori di 478 Comuni, contro i 374 di dieci anni prima e i 212 del 2004. Queste alcune delle evidenze che emergono dai dati Movimprese sull’andamento della demografia delle imprese nel 2024, elaborati da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di commercio. “Oltre all’aspetto della denatalità di impresa di alcuni territori, un andamento che crea disparità tra le nostre regioni – sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete – vanno valutate ed approfondite le cause che stanno portando a una riduzione della base imprenditoriale di alcuni settori cardine della nostra economia, come il commercio, l’agricoltura e il manifatturiero. Positiva invece la crescita di diversi comparti dei servizi, a partire dalle Attività professionali scientifiche e tecniche”.A livello settoriale, il saldo positivo del 2024 riflette dinamiche eterogenee tra i vari comparti. Oltre l’80% della crescita annuale (29mila imprese) si concentra in soli tre macro-settori: attività professionali scientifiche e tecniche (+10.845 imprese, pari ad un tasso di crescita del 4,40% su base annua), costruzioni (10.636 imprese in più, corrispondenti ad una crescita dell’1,27%), alloggio e ristorazione (+8.125, pari a +1,78%). In modo quasi speculare, altri tre grandi comparti hanno pesato in senso negativo sul saldo con una riduzione apprezzabile del proprio perimetro imprenditoriale: commercio (10.129 imprese in meno, pari al -0,72% contro lo 0,60% in meno del 2023), agricoltura, silvicoltura e pesca (-7.457, pari al -1,06% e in linea con l’anno precedente) e attività manifatturiere (-4.137 -0,81% contro -056% del 2023).Dal punto di vista territoriale i dati Movimprese mostrano segnali di crescita in tutte le quattro macro-ripartizioni geografiche del Paese, anche se ovunque con dinamiche più attenuate rispetto al 2023. In termini assoluti il contributo più significativo al saldo annuale è venuto dal Mezzogiorno (+13.684 imprese); in termini relativi la componente più dinamica è stata l’area del Centro-Italia (+0,80%) sostenuta dalla spinta decisiva del Lazio (+1,63%). Complessivamente, 15 regioni italiane hanno chiuso l’anno con un saldo positivo (erano 17 nel 2023). In termini di forme organizzative, alla fine del 2024 il tessuto imprenditoriale italiano appare rafforzato grazie alla significativa espansione delle imprese costituite in forma societaria, cresciute del 3,25% rispetto al 2023 (+60mila unità). Questo progresso avviene a scapito delle altre forme organizzative, il cui numero si si è complessivamente ridotto di oltre 24mila unità (meno 14mila le società di persone, meno 10mila le imprese individuali). Focus sui comuni a nascite “zero”Escludendo il triennio 2020-2022 segnato dagli effetti della pandemia, il saldo positivo del 2024 si colloca di poco al di sopra della media dell’ultimo decennio (33.169), risultato di una lieve ripresa delle iscrizioni (circa 10.800 in più) e di una più marcata crescita delle cessazioni (circa 16mila) rispetto al 2023. In questo contesto, per la prima volta Movimprese ha focalizzato l’attenzione sul fenomeno della de-imprenditorializzazione dei territori, analizzando il flusso delle iscrizioni di imprese a livello comunale. L’analisi, condotta su venti anni di dati del Registro delle Imprese, evidenzia l’ampliamento del perimetro dei territori in cui si riscontra un’assenza assoluta di nuove iniziative imprenditoriali. Dai 212 Comuni a zero natalità imprenditoriale del 2004 (pari al 2,6% di tutti i Comuni esistenti all’epoca) si è passati ai 374 del 2014 (4,6% del totale) per arrivare ai 478 rilevati tra gennaio e dicembre dello scorso anno (il 5,9% dei campanili della Penisola).Il fenomeno delle “culle d’impresa” vuote, osservato a livello dei territori comunali, presenta risvolti che richiedono un approfondimento dedicato e multidimensionale, incrociando variabili socio-economiche su diversi piani di analisi. La disponibilità dei dati Movimprese a questo livello di dettaglio (e la loro confrontabilità nel tempo) offre una solida base per l’avvio di un percorso di approfondimento e comprensione più articolata. Geograficamente, i comuni che nel corso del 2024 non hanno visto nascere attività d’impresa sono distribuiti in tutte le regioni italiane, con l’unica eccezione della Basilicata. In termini assoluti, la concentrazione più elevata si registra in Piemonte (126); a seguire vengono la Lombardia (103) e, con un distacco significativo, la Sardegna (32). Se si considera il rapporto tra questi comuni e il totale dei comuni presenti nelle rispettive regioni, emergono differenze interessanti rispetto a questo primo quadro. In una significativa continuità territoriale, al Piemonte (10,6% di incidenza dei municipi senza nuove imprese sul totale dei comuni in regione) si aggiunge la Valle d’Aosta (con un valore anche più elevato: 10,8%), la Lombardia (6,7%) esce di scena dalle prime posizioni, mentre la Sardegna si conferma in seconda posizione anche in termini relativi, affiancata però dalla Toscana (8,5%). Anche in termini relativi, si segnala una continuità territoriale significativa tra Abruzzo (8,2%) e Molise (8,1%) a indicare come la geografia dei sistemi imprenditoriali locali sia fortemente condizionata da quella fisica dei territori su cui insistono le attività d’impresa. LEGGI TUTTO

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    USA, sussidi disoccupazione crescono di 223 mila unità più delle attese

    (Teleborsa) – Salgono più delle attese le richieste di sussidio alla disoccupazione negli USA. Nella settimana al 18 gennaio 2025, i “claims” sono risultati pari a 223 mila unità, in aumento di 6 mila unità rispetto ai 217 mila della settimana precedente (dato che conferma il preliminare). Le attese degli analisti erano per una crescita fino a 221 mila unità.La media delle ultime quattro settimane – in base ai dati del Dipartimento del Lavoro americano – si è assestata a 213.500 unità, in aumento di 750 unità rispetto al dato della settimana precedente di 212.750. La media a quattro settimane viene ritenuta un indicatore più accurato dello stato di salute del mercato del lavoro, in quanto appiana le forti oscillazioni osservate settimanalmente.Infine, nella settimana all’11 gennaio, le richieste continuative di sussidio si sono attestate a 1.899.000, in aumento di 46.000 unità rispetto alle 1.853.000 unità della settimana precedente (rivisto da un iniziale 1.867.000) e alle 1.860.000 attese. LEGGI TUTTO

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    MutuiOnline.it: Bce verso il primo taglio del 2025, tassi dei mutui ancora in discesa

    (Teleborsa) – Il TAN medio per i mutui a 20 e 30 anni a tasso variabile è sceso a dicembre sotto il 4%, attestandosi al 3,93%, mentre le migliori offerte si fermano al 3,49%. Un taglio di un quarto di punto percentuale deciso nella riunione di giovedì prossimo porterebbe il TAN medio al 3,68%, con il migliore che si abbasserebbe al 3,24%. Considerando un mutuo da 150mila euro della durata di 20 anni, la rata media potrebbe quindi scendere dai 903 euro attuali a 884 euro , per un risparmio fino a 19 euro al mese e 4.700 euro sugli interessi del finanziamento, mentre per le migliori offerte la rata passerebbe da 869 euro a 850 euro, per una spesa totale fino a 4.600 euro inferiore sull’intera durata del mutuo. Questi i dati che emergono dall’Osservatorio di MutuiOnline.it.Ipotizzando altri due tagli da 25 punti base decisi nelle prossime tre riunioni – in programma a marzo, aprile e giugno – il TAN medio dei mutui a tasso variabile – rileva l’Osservatorio – potrebbe scendere al 3,18%, per rate mensili fino a 58 euro più leggere rispetto a oggi (845 euro ) e un risparmio di 13.900 euro sugli interessi del mutuo. Fino ad allora, tuttavia, il tasso fisso continuerà a essere più conveniente, alla luce di tassi di interesse decisamente più bassi. Al momento su MutuiOnline.it la migliore offerta per un mutuo a tasso fisso con gli stessi parametri di quello preso in esame sopra ha infatti un TAN del 2,46% e una rata mensile di 792 euro. Se oggi il fisso rappresenta una scelta obbligata (il 99,5% dei clienti di MutuiOnline.it si è orientata proprio verso questo tipo di finanziamento nell’ultimo trimestre del 2024), la situazione potrebbe cambiare nel corso dei prossimi mesi. Entro la fine del 2025, qualora le previsioni di ulteriori tagli da parte degli analisti dovessero essere confermate, le due tipologie di finanziamento potrebbero avere tassi di interesse equivalenti, il tutto a vantaggio dei consumatori che avrebbero a disposizione una gamma ancora più ampia di soluzioni tra cui scegliere.”L’allentamento della politica monetaria della Banca Centrale Europea – commenta Nicoletta Papucci, portavoce di MutuiOnline.it – sta rendendo i tassi dei mutui sempre più vantaggiosi e il mercato ne sta giovando. Nel prossimo futuro sarà importante capire come si evolverà l’inflazione nell’Eurozona e quali saranno le decisioni di Bank of England e Federal Reserve, dal momento che divergenze in tema di politica monetaria potrebbero indebolire l’euro rispetto a dollaro e sterlina. In attesa dell’ufficialità di ulteriori tagli, le previsioni indicano che già a metà 2025 le migliori offerte dei mutui a tasso variabile potrebbero avere un TAN simile a quello attuale medio dei mutui a tasso fisso. In questa prospettiva, per i consumatori sarà fondamentale avere a disposizione strumenti di comparazione come MutuiOnline.it, in modo da poter individuare le offerte più convenienti e risparmiare”.Dopo le quattro riduzioni dei tassi di interesse operate nel 2024, la Banca Centrale Europea è avviata a proseguire l’allentamento in tema di politica monetaria anche nel corso del nuovo anno. Nella riunione in programma il 30 gennaio, la prima del 2025, si attende infatti la decisione di un ulteriore taglio del costo del denaro, che con ogni probabilità sarà di un quarto di punto, e gli analisti che prevedono un secondo ribasso anche nella riunione di marzo. Il periodo difficile che sta attraversando l’industria tedesca rappresenta un campanello d’allarme per l’istituto guidato da Christine Lagarde, che si prepara a intervenire per ridare vigore a una crescita economica che viaggia a rilento in tutta l’Eurozona. Per quanto riguarda l’inflazione, in risalita al 2,4% a dicembre spinta dai prezzi energetici, gli economisti rimangono fiduciosi per il raggiungimento del target di medio periodo del 2% tra il 2025 e il 2026. Per scoprire la decisione della Bank of England bisognerà aspettare la prima settimana di febbraio. Secondo gli analisti il calo dell’inflazione (dal 2,6% di novembre al 2,5% di dicembre) e la crescita economica anemica nel Regno Unito spingeranno con buona probabilità Andrew Bailey e colleghi verso la strada dell’allentamento, con un taglio previsto di 25 punti base. Oltreoceano, nella riunione del 29 gennaio, la Federal Reserve è avviata verso la decisione di lasciare inalterati i tassi di interesse, dopo che i tre tagli consecutivi operati nella seconda metà del 2024 hanno portato il tasso ufficiale nel range 4,25-4,50%. Alla luce dei dati riguardo l’occupazione (vicina ai massimi storici) e l’inflazione (che rimane alta, attestandosi al 2,7%), per il momento non sembra esserci margine per ulteriori tagli, che sono rimandati alle prossime riunioni. In ogni caso il clima di incertezza legato alle possibili decisioni dell’amministrazione Trump, una su tutte l’introduzione dei dazi sulle importazioni dei beni di consumo, spingono la maggior parte degli analisti a prevedere tagli non oltre il mezzo punto percentuale nel corso di tutto il 2025.(Foto: Gino Crescoli / Pixabay) LEGGI TUTTO

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    Automotive: in Italia metà delle aziende non prevede investimenti in nuovi prodotti e processi

    (Teleborsa) – In Italia quasi la metà delle aziende automotive non prevede investimenti significativi in nuovi prodotti, e, tra chi investe, la maggioranza intende farlo nella mobilità elettrica, che si pone anche come l’unico comparto dell’industria con prospettive di crescita occupazionale. È quanto emerge dall’analisi presentata oggi al ministero delle Imprese e del Made in Italy dall’Osservatorio TEA, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano, guidato dal Center for Automotive & Mobility Innovation dell’Università Ca’ Foscari Venezia (CAMI) e dal CNR-IRCrES, nell’ambito dell’evento “Mobilità elettrica e industria italiana: i risultati della survey 2024″.La ricerca si basa sulle risposte a una survey condotta nel 2024 a cui hanno partecipato 397 delle oltre 2.100 imprese mappate dall’Osservatorio, rappresentative dell’ecosistema industriale automotive italiano. Dalle risposte emerge che il 48,1% delle aziende rimarrà sostanzialmente fermo a livello di investimenti nel triennio 2024-2027, rinunciando a sviluppare nuovi prodotti in scia al clima di incertezza che si è generato in Italia sulla transizione tecnologica dei trasporti. A livello numerico, le aziende che continueranno a investire lo faranno guardando più alla mobilità elettrica (31% dei rispondenti) che alle motorizzazioni endotermiche (20,9%). In termini di volumi di risorse, il 61,6% degli investimenti sarà rivolto a componenti che non sono collegati al tipo di alimentazione del veicolo, rispecchiando la natura fortemente invariante del portafoglio prodotti e delle competenze della filiera. Il 17,9% degli investimenti si concentrerà sullo sviluppo di componenti esclusivi per i veicoli elettrici, il 10,1% sui componenti peculiari per i veicoli endotermici, il 6,7% su ingegneria e design e solo il 3,8% sul software, che rappresenterà invece uno dei principali terreni di sfida dei prossimi anni.Le aziende di maggiori dimensioni e con una più spiccata visione internazionale sono quelle che dimostrano la maggiore propensione all’innovazione, mentre le realtà medio-piccole, situate in molti casi nel Mezzogiorno e fortemente dipendenti da pochi grandi committenti, faticano a mantenere il passo. Guardando alla transizione tecnologica in atto, il 66% delle imprese prevede che nel periodo considerato l’elettrificazione non avrà impatti sul portafoglio prodotti o non richiederà in ogni caso particolari adeguamenti, il 26,6% si appresta ad adottare un percorso specifico di adattamento e il 7,4% ipotizza di agire radicalmente sul proprio portafoglio prodotti o di concentrarsi su altre attività non collegate al settore automotive. Accanto al tema dello sviluppo di prodotto, preoccupa la generalizzata carenza di investimenti anche sul versante dell’innovazione di processo: nonostante le politiche incentivanti esistenti, infatti, il 55,2% delle aziende non ha in programma investimenti di questo tipo.Sotto il profilo occupazionale, l’analisi rileva che le imprese che investiranno nelle produzioni rivolte alla mobilità elettrica sono le uniche con outlook positivo, soprattutto per quanto riguarda le assunzioni nelle aree a maggior valore aggiunto, come ricerca e sviluppo (+5,6%) e sistemi informatici (+8%).Cosa chiedono quindi le aziende per affrontare nel migliore dei modi la transizione e per preservare (o rilanciare) la propria competitività? In cima alle preoccupazioni della filiera c’è il nodo dei costi dell’energia, seguito dall’esigenza di un’accelerazione sull’adozione delle fonti rinnovabili, percepita come un elemento di competitività rilevante per via delle certificazioni sull’impronta carbonica richieste ai fornitori di componenti. Inoltre, si invocano politiche per la diffusione dell’infrastruttura di ricarica, per facilitare assunzioni e formazione del personale e per stimolare la domanda di veicoli elettrici, agendo così indirettamente anche sulle economie di scala. Si segnalano infine tra le priorità indicate dalla filiera le azioni orientate a favorire la realizzazione di nuovi impianti, il rientro in Italia di attività produttive, la collaborazione tra soggetti diversi, gli accordi di innovazione per l’automotive e l’attrazione di nuovi investitori.”La ricerca rende il quadro di una filiera estesa che non è esposta in modo particolare all’elettrificazione del drivetrain – spiega il direttore dell’Osservatorio TEA, Francesco Zirpoli – le crisi in atto sono da attribuire prevalentemente ad una diminuzione significativa e generalizzata delle commesse che riguarda prevalentemente i fornitori che hanno un alto volume d’affari con Stellantis. L’analisi identifica un numero molto significativo di imprese che presenta alte potenzialità di crescita nel prossimo triennio. Sono quelle che investono più della media in innovazione e che dall’Italia sono cresciute verso l’estero”. “Le risposte delle imprese alla survey hanno confermato i risultati dell’anno scorso, le imprese della filiera automotive estesa italiana investono maggiormente nei nuovi prodotti per l’elettrificazione del veicolo rispetto ai componenti per le motorizzazioni tradizionali e ciò si traduce per queste imprese anche i migliori performance occupazionali – sottolinea il responsabile della survey e dell’analisi dati, Giuseppe Calabrese – perdurano tuttavia le difficoltà a trovare personale adeguato soprattutto per le posizioni più qualificate come è evidenziato dalla richiesta di politiche industriali. Inoltre, si segnala una carente relazione con le istituzioni finanziarie per favorire l’innovazione”. LEGGI TUTTO