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    Giovani commercialisti, il corto circuito di “Napoli Obiettivo Valore”

    (Teleborsa) – “Il Senato ha approvato un emendamento al decreto “Milleproroghe” introducendo una norma ad hoc per consentire alle società di scopo di emettere gli atti di accertamento e di riscossione anche se non risultano iscritte all’albo di cui all’art. 53 del D.lgs. n. 446/1997. La soluzione adottata con il testo appena approvato non fa altro che confermare, quindi, l’illegittimità degli atti emessi dalla società di progetto “Napoli Obiettivo Valore srl” costituita ex art. 184 del D. Lgs. n. 50/2016 da Municipia, aggiudicataria della gara indetta dal Comune di Napoli per l’affidamento in concessione della progettazione realizzazione e gestione di un’infrastruttura tecnologica per l’ente e la cittadinanza e dei servizi di gestione delle entrate tributarie ed extratributarie”. Lo affermano Vincenzo Piccirillo e Cristiana Ciabatti, presidente e segretario dell’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Napoli.”Va segnalato che il 22 gennaio scorso si è già svolta l’udienza della Suprema Corte a Sezioni Unite chiamata a pronunciarsi proprio in merito alla legittimità degli atti emessi da ‘Napoli Obiettivo Valore srl’ dopo un rinvio pregiudiziale deciso dalla Corte di Giustizia Tributaria di Napoli con ordinanza n. 330609/2024 del 23 maggio 2024. A questo punto c’è da chiedersi – aggiungono Piccirillo e Ciabatti – viviamo ancora in uno Stato di diritto? Dov’è finita la parità delle parti nel processo? Per quale motivo il legislatore è intervenuto nel processo dinanzi le Sezioni Unite con una norma di intervento volontario a favore di una delle parti? Quale sarebbe il contrasto giurisprudenziale che nel caso in questione legittimerebbe questa papabile norma interpretativa? Per colmare il deficit strutturale nella riscossione dei tributi del Comune di Napoli è necessario un sistema più efficiente ed efficace basato sul senso di responsabilità dei cittadini ma tutto questo di certo non potrà trovare risposta in uno Stato dove ormai e purtroppo il rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, improntato al principio della collaborazione e della buona fede sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 10, comma 1, della L. n. 212/2000), viene costantemente mortificato. Perché una cosa è certa: i numeri del ‘non riscosso’ a Napoli sono troppo alti ma questi non possono essere colmati dall’incompetenza a danno dei cittadini. L’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Napoli ritiene che sia davvero arrivato il momento delle assunzioni di responsabilità”. LEGGI TUTTO

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    Terna, a gennaio consumi elettrici +1%

    (Teleborsa) – Secondo i dati di Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale, a gennaio il fabbisogno di energia elettrica è stato pari a 26,9 miliardi di kWh, valore in aumento dell’1% rispetto allo stesso mese del 2024. Nel dettaglio, lo scorso mese ha avuto un giorno lavorativo in meno (21 invece di 22) e una temperatura media mensile pressoché invariata rispetto a gennaio 2024, ma superiore alla media degli ultimi dieci anni di circa 1,4°C. Il fabbisogno, destagionalizzato e corretto dall’effetto congiunto di calendario e temperatura, risulta in aumento dell’1,5%. A livello territoriale, la variazione tendenziale di gennaio è stata ovunque positiva: +0,9% al Nord, +0,8% al Centro e +1,3% al Sud e Isole. L’indice IMCEI elaborato da Terna, che prende in esame i consumi industriali delle imprese cosiddette energivore, ha fatto registrare una diminuzione del 2,4% rispetto a gennaio 2024. In particolare, positivi i comparti meccanica e alimentari; in diminuzione, invece, metalli non ferrosi, mezzi di trasporto, chimica, cemento calce e gesso, ceramiche e vetrarie e cartaria. In termini congiunturali, il valore della richiesta elettrica destagionalizzato e corretto dagli effetti di calendario e temperatura risulta stazionario rispetto a dicembre 2024 (+0,2%).L’indice IMSER (Indice Mensile dei Servizi), che Terna pubblica sulla base dei dati mensili forniti da alcuni gestori di rete di distribuzione (E-Distribuzione, UNARETI, A-Reti, Edyna e Deval) e che viene presentato in differita di due mesi rispetto ai dati dei consumi elettrici e industriali, registra per il mese di novembre una variazione leggermente positiva: +0,9% rispetto a novembre 2023. Il periodo gennaio-novembre 2024 registra una variazione in aumento rispetto allo stesso periodo del 2023 (+3,4%). Tornando al bilancio mensile di Terna, nel mese di gennaio la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per l’82,3% dalla produzione nazionale e per la quota restante (17,7%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. Il valore del saldo estero mensile risulta pari a 4,8 TWh, -14,9% rispetto al valore di gennaio 2024 (5,6 TWh).In dettaglio, la produzione nazionale netta è risultata pari a 22,2 miliardi di kWh. Le fonti rinnovabili hanno coperto il 31,9% della domanda elettrica (era il 33,8% a gennaio 2024). In aumento la fonte termoelettrica (+11,5%), in flessione tutte le altre, come conseguenza di un minore apporto naturale: eolica -8,7%, idrica -5,1%, geotermica -1,1% e fotovoltaica -0,5%. Per quanto riguarda il saldo import-export, la variazione è pari a -14,9% per un effetto combinato di un aumento dell’export (+37,3%) e di una diminuzione dell’import (-12,4%). Secondo le rilevazioni Terna illustrate nel report mensile, considerando tutte le fonti rinnovabili, a gennaio la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 421 MW. Al 31 gennaio 2025 si registrano in Italia 13.307 MWh di capacità di accumulo, che corrispondono a 5.727 MW di potenza nominale, per circa 748mila sistemi di accumulo. LEGGI TUTTO

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    Lollobrigida: Ue difenda mondo del vino

    (Teleborsa) – “Una delle cose che meglio aiuta coloro che vogliono ostacolare un modello economico è far riferimento alla salute, perché qualsiasi cosa rispetto alla salute passa in secondo piano. Quando si vuole indebolire un sistema economico si passa agli argomenti legati alla salute”, come sta accadendo a livello europeo nel mondo del vino. Lo ha detto il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste Francesco Lollobrigida, intervenendo agli Stati generali del vino in corso al Campidoglio a Roma e organizzati dal Parlamento europeo in Italia, insieme alla Rappresentanza della Commissione europea in Italia. “Oggi ragioniamo di etichettatura ma partendo dall’elemento salutistico – ha proseguito- non tenendo conto di un dato oggettivo: l’alcol, di per se stesso è un fattore di rischio per la salute. Ma il vino ha una parte di alcol: è un prodotto più complesso, è un prodotto che se non abusato non solo non produce danni per il fisico ma produce salute in una alimentazione bilanciata. Dobbiamo avere il coraggio di affermarlo con serenità”, ha detto il ministro portando come esempio il fatto che “le popolazioni che utilizzano in maniera morigerata il vino non provocano danni alla propria salute. Questo non può essere smentito – ha aggiunto – visto la longevità dei popoli che hanno all’interno della propria alimentazione questo prodotto”. Per Lollobrigida quindi l’Europa deve fare questa riflessione “in maniera serena, senza criminalizzare un mondo che è produzione, lavoro, identità, cultura e ambiente”, anche perché la criminalizzazione “porta a un indebolimento del nostro sistema produttivo”. “Io – ha poi proseguito il ministro tornando al tema delle etichette allarmistiche – mi concentrerei su etichette informative che danno i consigli corretti per avere un prodotto di qualità e assunto in quantità giusta e pagato il giusto prezzo. Peché la qualità non ha un prezzo esatto, deve essere pagata il giusto. È necessario nel contesto europeo riportare le cose alla ragione – ha concluso Lollobrigida – perché il vino rappresenta tutto questo, per rendere la Ue più forte e più attenta ai problemi dei cittadini” LEGGI TUTTO

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    Come gli incendi mettono a rischio la Blue Economy, un settore da 2.000 miliardi di dollari

    (Teleborsa) – “Negli ultimi anni, il mondo ha assistito a un allarmante aumento della frequenza e dell’intensità degli incendi boschivi, un fenomeno strettamente legato al cambiamento climatico. Sebbene la devastazione immediata degli incendi sia spesso misurata in termini di superficie bruciata e proprietà distrutte, gli effetti a catena si estendono ben oltre i confini terrestri, raggiungendo il cuore degli oceani. Questi disastri stanno devastando l’economia blu, causando fioriture algali, zone morte ed ecosistemi marini sconvolti”. È l’allarme lanciato da un’analisi di WillemVisser, Sector Portfolio Manager, Impact and Emerging Markets, T. Rowe Price.”Gli incendi possono sembrare un problema della terraferma, ma il loro impatto si estende ai mari – ha spiegato l’analista –. Quando le foreste bruciano, ceneri e detriti vengono trasportati da vento e acqua nei fiumi, per poi raggiungere l’oceano. Questo afflusso di nutrienti può portare a fioriture algali, che riducono i livelli di ossigeno nell’acqua e creano zone morte in cui la vita marina fatica a sopravvivere. Inoltre, la fuliggine e il particolato prodotti dagli incendi possono depositarsi sulla superficie dell’oceano, influenzando la quantità di luce solare che penetra nell’acqua e interrompendo il processo di fotosintesi delle piante marine e del fitoplancton. Le barriere coralline, brulicanti di vita, improvvisamente soffocano sotto una coltre di cenere”.”L’economia blu, che comprende settori come pesca, turismo e conservazione della biodiversità marina, è particolarmente vulnerabile alle duplici minacce poste dagli incendi e dai cambiamenti climatici. La salute degli oceani è essenziale per la sostenibilità di questi settori e qualsiasi alterazione degli ecosistemi marini può avere conseguenze economiche e sociali significative”, ha quindi affermato l’analista di T. Rowe Price. “La pesca, ad esempio, si basa su popolazioni ittiche stabili e habitat marini sani. Il declino degli stock ittici dovuto all’interruzione della rete alimentare e al degrado degli habitat può portare a una riduzione delle catture, con un impatto sul sostentamento di milioni di persone che dipendono dalla pesca per il loro reddito. Inoltre, la perdita di biodiversità può compromettere la resilienza degli ecosistemi marini, rendendoli più suscettibili ad altri fattori di stress come la pesca eccessiva e l’inquinamento”, ha spiegato.”Si pensi che il costo economico globale degli incendi boschivi è stimato tra i 394 e gli 893 miliardi di dollari all’anno. Negli Stati Uniti, i costi di soppressione degli incendi sono saliti alle stelle, raggiungendo la cifra record di 4,4 miliardi di dollari nel 2021. Queste cifre evidenziano l’immenso onere finanziario che gli incendi selvaggi impongono alle economie di tutto il mondo – ha sottolineato Visser –. Anche il turismo, altro pilastro della blue economy, è a rischio. Le aree costiere che attirano i turisti per le loro bellezze naturali e le opportunità ricreative possono essere gravemente colpite dalle conseguenze degli incendi. Il fumo e la cenere riducono la qualità dell’aria e la visibilità, scoraggiando i visitatori. Il degrado degli ambienti marini diminuisce l’attrattiva di attività come lo snorkeling e le immersioni, con un ulteriore impatto sulle economie locali.”Per combattere la duplice minaccia degli incendi e dei cambiamenti climatici, abbiamo bisogno di soluzioni integrate che riguardino sia la terra sia il mare. Le pratiche di gestione sostenibile del territorio, come le bruciature controllate e la riforestazione, possono ridurre il rischio di incendi gravi. Queste pratiche proteggono gli ecosistemi terrestri e prevengono gli effetti a valle sugli ambienti marini”, ha evidenziato, ricordando che l’economia blu, valutata a livello globale circa 2.000 miliardi di dollari, “è vitale per milioni di mezzi di sussistenza, in particolare per le comunità costiere e insulari”.(Foto: CC BY-SA 3.0) LEGGI TUTTO

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    Giovani imprenditori in ritirata: in 10 anni, 153mila attività in meno (-24%)

    (Teleborsa) – Ogni giorno per 10 anni consecutivi l’Italia ha “perso” 42 imprese guidate da under 35. È questo il bilancio dell’ultimo decennio che ha visto sparire – tra chiusure e superamento della soglia di età degli amministratori – oltre 153mila attività guidate da under 35, portando il numero complessivo delle imprese giovanili dalle quasi 640mila del 2014 alle 486mila di dicembre 2024. È quanto emerge dall’analisi Unioncamere-InfoCamere sulla nati-mortalità delle imprese giovanili che fotografa la profonda trasformazione del tessuto imprenditoriale italiano, spinta anche dall’inverno demografico in cui è entrata la nostra società. Se il calo ha interessato quasi tutti i settori economici, emergono però significative differenze con una forte accelerazione nel segno dell’innovazione e della sostenibilità. La forte riduzione del perimetro ha innescato una sensibile ricomposizione settoriale dell’imprenditoria giovanile. I servizi alle imprese, in particolare, registrano una crescita del 3,5% con quasi 2mila imprese giovanili in più nel decennio, mentre l’agricoltura mantiene sostanzialmente stabile la presenza degli under 35 (+0,06%), confermandosi un’opportunità imprenditoriale concreta per molti giovani. “Il dato è figlio del contesto economico ma è chiaro che su di esso ha pesato l’invecchiamento della popolazione – commenta il presidente di Unioncamere, Andrea Prete –. Del resto, secondo il CNEL, negli ultimi 20 anni abbiamo avuto oltre 2 milioni di lavoratori under 35 in meno”. Per il presidente di Unioncamere, comunque,”la nuova mappa settoriale dell’impresa giovanile mostra chiaramente una maggiore presenza in settori che richiedono competenze specializzate e promettono maggiori margini di innovazione. I giovani che oggi scelgono di fare impresa puntano su attività dove il valore aggiunto della competenza e della tecnologia rappresenta un fattore distintivo e competitivo. Questa trasformazione suggerisce la necessità di politiche mirate che, oltre a facilitare l’accesso al credito e la fase di avvio, supportino i giovani imprenditori nell’acquisizione delle competenze necessarie per operare in settori ad alta intensità di conoscenza e innovazione”.A queste trasformazioni fa eco il forte ridimensionamento delle attività più tradizionali. Costruzioni e commercio sono i comparti che hanno pagato il prezzo più alto: il primo ha perso quasi 40mila imprese under 35 (-38,7%), mentre il commercio ha visto sparire oltre 66mila attività (-36,2%). Pesante anche il calo registrato dalle attività manifatturiere, dove in dieci anni sono venute meno oltre 14mila imprese (-35,9%). Il calo ha colpito in modo particolare il mondo artigiano che, nel decennio, ha perso oltre 47mila imprese giovanili (-28,1%), mentre l’imprenditoria femminile under 35 ha visto una contrazione di oltre 43mila unità (-24,5%) e le imprese guidate da giovani stranieri sono diminuite di quasi 35mila unità (-27,4%).In termini di composizione percentuale, se nel 2014 commercio e costruzioni rappresentavano insieme quasi il 45% di tutte le imprese under 35, oggi il loro peso è sceso al 37%. Cresce invece l’incidenza dei servizi alle imprese (dall’8,7% all’11,8%) e dell’ICT (dal 6,4% all’8%). Un chiaro segnale – rileva l’analisi – di come le nuove generazioni si stiano orientando verso settori a maggior contenuto tecnologico e di servizi avanzati.Dal punto di vista territoriale, l’arretramento dell’imprenditoria giovanile mostra significative differenze tra le diverse aree del Paese. La Lombardia, che resta la regione con il maggior numero assoluto di imprese under 35 (oltre 74mila), ha registrato nel decennio una contrazione del 15,1%. La Campania, seconda regione per presenza di imprese giovanili (oltre 61mila), ha subito perdite del 23,8%. Più marcato il calo nelle regioni del Centro, con le Marche che hanno perso il 36,7% delle imprese giovani, l’Umbria (-32%) e la Toscana (-31,1%). Nel Mezzogiorno, dove tradizionalmente è più elevata l’incidenza di imprese giovanili sul totale delle imprese, le flessioni più consistenti si sono registrate in Molise (-35,6%), Abruzzo (-35,2%) e Calabria (-34,4%). Più contenute invece le perdite in Sicilia (-32,9%) e Puglia (-28,6%), che mantengono una significativa presenza di imprenditoria giovanile con rispettivamente quasi 43mila e 34mila imprese under 35. LEGGI TUTTO

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    Giappone, indice servizi dicembre +0,1% m/m

    (Teleborsa) – Migliora il settore servizi giapponese. L’indice sull’attività del settore terziario, elaborato dal Ministero dell’economia e dell’industria, ha registrato a dicembre 2024 un aumento dello 0,1% su base mensile dopo il calo dell’1,2% di novembre. Le attese degli analisti erano per una salita dello 0,2%.Il dato grezzo registra su base annua un incremento dell’1,1%.(Foto: Photo by Alex Knight on Unsplash) LEGGI TUTTO

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    Giappone, PIL 4° trimestre molto meglio delle attese: +2,8% a/a

    (Teleborsa) – L’economia giapponese registra una crescita superiore alle attese nel 4° trimestre del 2024. Secondo i dati diffusi dall’Istituto di ricerca economica e sociale del Cabinet Office giapponese, il Prodotto Interno Lordo (PIL) ha mostrato un decremento dello 0,7% su trimestre, contro la salita dello 0,3% stimata dagli analisti e dopo il +0,4% del trimestre precedente.Su anno il PIL è salito del 2,8% rispetto al +1% indicato dal consensus e contro il +1,7% precedente.Bene i consumi privati, aumentati dello 0,1% su trimestre (vs attese per -0,3%). In crescita gli investimenti (+0,5%), anche se sotto le attese (+1%).(Foto: Photo by Andre Benz on Unsplash) LEGGI TUTTO

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    Panetta (Bankitalia): da dazi USA -0,5 punti su PIL eurozona, ma Italia e Germania peggio

    (Teleborsa) – “Il commercio internazionale viene sempre più utilizzato come leva strategica, soprattutto nella competizione tecnologica”. Lo ha affermato il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, intervenendo al 31° congresso degli operatori dei mercati finanziari, organizzato a Torino da Assiom Forex.”In questo contesto si inserisce la strategia della nuova amministrazione statunitense, che prevede nuovi e più elevati dazi sulle importazioni – ha aggiunto – Particolare attenzione viene rivolta ai partner con un ampio avanzo commerciale verso gli Stati Uniti. Il surplus della Cina verso l’economia americana ammontava nel 2024 a circa 300 miliardi di dollari, circa un terzo dell’avanzo commerciale complessivo cinese e un quarto del disavanzo degli Stati Uniti”.”Secondo le nostre stime, se i dazi annunciati in fase pre-elettorale fossero attuati e accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del PIL globale si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali – ha detto il Governatore – Per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti. Per l’area dell’euro le conseguenze sarebbero più contenute, intorno a mezzo punto percentuale, con effetti maggiori per Germania e Italia, data la rilevanza dei loro”.”L’esperienza storica mostra che le guerre commerciali danneggiano la crescita, anche nei paesi che le avviano – ha spiegato – I dazi non garantiscono una riduzione del disavanzo delle partite correnti. Se lo facessero, comporterebbero anche un minore afflusso netto di capitali verso il paese che li ha imposti, con conseguenti aggiustamenti attraverso un aumento del risparmio dei residenti o una riduzione degli investimenti”.Secondo Panetta, “è possibile che l’amministrazione statunitense stia utilizzando gli annunci sui dazi come leva negoziale per ridefinire i rapporti economici e politici con altre aree del mondo. Tuttavia, in un contesto già segnato da tensioni geopolitiche, commerciali e belliche, questa strategia potrebbe sfuggire al controllo, generando effetti ben oltre quelli desiderati, aggravando i dissidi esistenti e aprendo nuove fratture. Soluzioni negoziali basate sulla cooperazione non solo rappresentano un’alternativa preferibile, ma sono necessarie per evitare una spirale di conflitti che minaccerebbe la stabilità globale”. LEGGI TUTTO