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Lavoro, pesa crisi demografica: quanti lavoratori in meno tra vent'anni?

(Teleborsa) – “Tra vent’anni il bacino dei potenziali lavoratori subirà una netta diminuzione, -6,8 milioni di persone, mentre la popolazione non in età da lavoro (under 15 e over 64) registrerà una robusta crescita, +3,8 milioni di persone”. E’ quanto rileva la ricerca della Fondazione Di Vittorio-Cgil dalla quale emerge con chiarezza che la crisi demografica peserà in maniera significativa sul mercato del lavoro.

L’effetto demografico inoltre, sottolinea la Fondazione, incide anche sul tasso ufficiale di occupazione che già misura, e misurerà sempre più solo in parte, l’effettivo andamento occupazionale.

Intervenire in immediato “sulle condizioni di lavoro, sulla precarietà, sui salari e sul regime di orari” e cambiare le politiche migratorie in entrata e in uscita, sia numericamente che dal punto di vista dei diritti delle persone”. Questi alcuni degli interventi contro il calo demografico e i suoi riflessi sul mercato del lavoro proposti dalla Fondazione Di Vittorio-Cgil. A questi vanno accompagnati altri interventi di natura più strutturale.

“La caduta delle nascite (nel 2021 si scende sotto le 400 mila) è legata, oltre che all’andamento demografico della popolazione, a molti altri fattori tra cui mancate politiche di conciliazione, scarsità di servizi e concreti interventi a sostegno della natalità, ma la sua forte accelerazione va analizzata anche con un approccio diverso da quello tradizionale” sottolinea il rapporto.

“L’aggravarsi di scenari sanitari, economici e sociali ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte delle persone, provocando picchi particolarmente negativi di natalità. Si accentuano elementi di sfiducia verso il futuro di cui come è noto l’occupazione, è un elemento fondamentale. Gli interventi quindi devono contemporaneamente avere caratteristiche di immediatezza e di strutturalità”.

“L’indubbia crisi demografica italiana avrà un impatto sulla quantità dell’offerta di lavoro e sulla composizione anagrafica degli occupati con delle ripercussioni sulla produttività, sull’assistenza e sulla previdenza. Un’Italia priva dell’energia delle giovani generazioni sconterà nel medio e lungo periodo un deficit di crescita, non solo per il calo dei nuovi nati ma anche per le scarse capacità dimostrate finora dal nostro Paese di valorizzare gli immigrati e creare le condizioni per una loro integrazione e stabile permanenza.

Per il presidente della Fondazione Fulvio Fammoni “è bene inoltre ricordare che mediamente ogni anno circa 100mila persone emigrano dall’Italia verso l’estero, in cerca di un salario migliore ma anche di poter svolgere il lavoro per il quale si sono formati e che in Italia raramente gli viene proposto. Si tratta per circa un terzo di giovani in età compresa tra 25 e i 34 anni e con un’alta percentuale di laureati o con titolo di studio superiore. Peraltro, i dati dei trasferimenti anagrafici, come quelli degli iscritti all’AIRE, sono fortemente sottostimati”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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