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    Welfare, INPS e ANCI insieme per l’attivazione di sportelli telematici nei comuni

    (Teleborsa) – Favorire l’attivazione e la promozione dei Punti Utenti Evoluti (PUE) e dei Punti Cliente di Servizio (PCS) presso i comuni italiani, con particolare attenzione alle aree Interne e le isole minori. È in sintesi il contenuto della collaborazione tra ANCI ed INPS prevista nel protocollo di intesa firmato oggi a Roma dai presidenti Gabriele Fava e Gaetano Manfredi. Lo fa sapere l’INPS in una nota.I Punti Utente e i punti cliente sono sportelli telematici INPS e sportelli virtuali di accesso ai servizi coadiuvati dalla presenza di un funzionario comunale. Un progetto già sperimentato in 23 Comuni di 7 Regioni che ora è pronto a diventare una rete nazionale. ANCI ed INPS individueranno ulteriori iniziative per migliorare l’accessibilità alle prestazioni INPS, con Anci che supporterà l’INPS nella raccolta di feedback e nell’analisi dell’esperienza degli enti comunali che hanno attivato il PUE o il PCS.Oggi più di 4.500 Comuni italiani – spiega la nota – non hanno un ufficio INPS nelle vicinanze. Significa che milioni di cittadini sono costretti a spostarsi. Inoltre, ANCI ed INPS promuoveranno attività di comunicazione e informazione per gli utenti sull’importanza e i benefici dell’utilizzo dei PUE e dei PCS, anche in relazione alle finalità del Progetto “INPS in rete per l’inclusione” che fa riferimento all’Accordo quadro di collaborazione tra Inps, Anci, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio e Croce Rossa Italiana, sottoscritto il 27 marzo 2025. Il progetto è finalizzato a valorizzare e rafforzare la rete di protezione sociale a livello nazionale e locale e la sinergia in favore dei soggetti in difficoltà sociali ed economiche.”Il Protocollo tra INPS e ANCI non è un atto formale è un patto di prossimità e di responsabilità. È la scelta di avvicinare ulteriormente lo Stato dentro ogni comunità, soprattutto in quelle più fragili, affiancando e supportando i sindaci con le prestazioni Inps – afferma Fava –. Questo accordo segna un passo avanti verso un nuovo modello di servizio, centrato sullaconsulenza e sulla capacità di accompagnare i cittadini in scelte sempre più complesse. Un modelloche sa unire innovazione digitale e contatto umano, per ridurre il digital divide e dare risposte rapideanche a chi vive nei luoghi più remoti. Nei prossimi tre anni lavoreremo insieme ai sindaci, con l’Anci per estendere questa rete in tutto il Paese”.”Offrire un accesso facilitato ai servizi Inps è un passo concreto verso l’inclusione sociale e digitale, soprattutto nelle aree interne che, a causa di una limitata connettività e della posizione geografica, soffrono difficoltà di accesso ai servizi essenziali, come quelli previdenziali e assistenziali dell’INPS – evidenzia Manfredi –. L’attivazione dei PUE e dei PCS va quindi a rafforzare il ruolo dei comuni come presidi territoriali e punti di contatto essenziali tra lo Stato e icittadini, offrendo la possibilità ai cittadini di accedere ai servizi dell’INPS direttamente presso il proprio comune. Una soluzione particolarmente utile per le persone anziane, per coloro che non hanno familiarità con gli strumenti digitali, o per chi vive in luoghi dove recarsi in una sede INPS fisica è complicato. In tal senso, l’intesa tra ANCI e INPS rappresenta un modello virtuoso di collaborazione istituzionale che mette al centro il cittadino, specialmente quello che vive in contestipiù marginali. Questo impegno congiunto è fondamentale per costruire una società più equa e accessibile, dove i servizi non sono un privilegio, ma un diritto per tutti”.All’evento hanno preso parte anche il direttore generale dell’INPS, Valeria Vittimberga, il direttore centrale Organizzazione INPS, Maria Grazia Sampietro e il sindaco di L’Aquila, nonché responsabile nazionale formazione ANCI, Pierluigi Biondi. LEGGI TUTTO

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    Pensioni, per bloccare aumento età di tre mesi servono 3 miliardi l’anno

    (Teleborsa) – Per bloccare l’aumento dell’età pensionabile di tre mesi, che scatterà automaticamente a partire dal 2027 a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita a 65 anni, occorrerà trovare quasi 3 miliardi di euro l’anno. E’ quanto hanno calcolato i tecnici che stanno lavorando sul dossier.Fra settore pubblico e privato, il blocco dell’incremento dell’età pensionabile darebbe il via libera a 500mila pensioni in più all’anno, generando maggiori costi, in base ai dati del 2024, per 2,7 miliardi di euro, compreso il rateo della tredicesima. Il primo anno la cifra sarebbe più bassa e salirebbe negli anni successivi, considerando anche lo sblocco del TFR presso la tesoreria dell’INPS e l’impatto del pensionamento dei baby boomer, che raggiungerebbero i 67 anni nel 2027. LEGGI TUTTO

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    Pensioni, Unimpresa: con 64 anni a rischio sostenibilità del sistema previdenziale italiano

    (Teleborsa) – Nei prossimi cinque anni, l’introduzione di una riforma che abbassi l’età pensionabile a 64 anni per tutti comporterebbe un impatto economico rilevante e immediato per la finanza pubblica. L’incremento del numero di nuovi pensionati, stimabile tra 120mila e 160mila unità aggiuntive all’anno, determinerebbe un aumento della spesa pensionistica pari a circa 0,3 punti percentuali di pil già nel primo anno di applicazione, con una tendenza progressiva che porterebbe l’incidenza sul pil dal 15,3% previsto per il 2025 al 16,2% entro il 2030, rispetto al 15,7% a normativa vigente. In valori assoluti, ciò si tradurrebbe in una maggiore spesa cumulata di circa 40 miliardi di euro nel quinquennio 2025–2029, ai prezzi costanti. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui la differenza si manterrebbe stabile intorno a 0,5 punti percentuali di pil anche nel lungo periodo, con una spesa al 2070 pari al 14,5% del pil nel nuovo scenario, rispetto al 14% a legislazione invariata.L’effetto cumulato di questo scostamento tra il 2025 e il 2045 – rileva Unimpresa – ammonterebbe, in termini nominali ai prezzi 2020, a circa 160-180 miliardi di euro di maggiore esborso complessivo. L’aggravio inciderebbe strutturalmente sull’indebitamento netto, mettendo sotto pressione il bilancio dello Stato proprio in una fase in cui si prevede una riduzione graduale del deficit e un rientro sotto la soglia del 3% nel medio periodo. Contestualmente, il minor gettito contributivo legato all’uscita anticipata di una quota consistente di lavoratori ridurrebbe la capacità del sistema previdenziale di autofinanziarsi, ampliando ulteriormente il fabbisogno da coprire con risorse generali. Nel primo quinquennio di applicazione, la riforma genererebbe uno squilibrio immediato e crescente, rendendo necessarie misure correttive o compensative per evitarne l’insostenibilità. “L’idea di abbassare l’età pensionabile a 64 anni per tutti va considerata con grande attenzione, soprattutto alla luce dei conti pubblici e dell’equilibrio previdenziale. Ogni scelta ha un costo e richiede responsabilità. In un momento in cui il Paese ha bisogno di rilanciare gli investimenti, sostenere le imprese e rafforzare l’occupazione giovanile, è fondamentale indirizzare le risorse pubbliche verso ciò che genera crescita. Non possiamo permetterci scelte miopi che rischiano di compromettere la sostenibilità finanziaria e penalizzare le nuove generazioni” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Ragioneria generale dello Stato, l’introduzione di una riforma previdenziale che abbassi l’età pensionabile a 64 anni per tutti i lavoratori, senza requisiti aggiuntivi né penalizzazioni attuariali, comporterebbe un impatto economico strutturale rilevante per la finanza pubblica italiana, soprattutto nel medio periodo. L’attuale assetto normativo stabilisce un’età pensionabile di 67 anni, con forme di flessibilità limitate e mirate, accompagnate da requisiti contributivi elevati. Le previsioni ufficiali a legislazione vigente stimano che la spesa pensionistica, espressa in percentuale del pil, si attesterà intorno al 15,3% nel 2025, con una graduale crescita fino al 17,1% nel 2040, per poi decrescere lentamente al 14% nel 2070, sulla base dell’effetto combinato tra invecchiamento della popolazione, maturazione del metodo contributivo e innalzamento dei requisiti anagrafici legati alla speranza di vita. Nel caso di adozione della riforma ipotizzata, si determinerebbe un incremento immediato del numero di nuovi pensionati, stimabile tra 120mila e 160mila unità aggiuntive ogni anno nei primi cinque esercizi di applicazione, con un conseguente aumento della spesa pensionistica che già nel 2025 passerebbe dal 15,3% al 15,6% del pil, generando uno scostamento di 0,3 punti percentuali. Tale divario si allargherebbe progressivamente negli anni successivi, raggiungendo il 16,2% nel 2030 rispetto al 15,7% dello scenario base, per poi salire al 17,7% nel 2040, contro un livello atteso di 17,1% senza interventi. La differenza si manterrebbe stabile intorno a 0,5 punti percentuali di pil anche nel lungo periodo, con una spesa al 2070 pari al 14,5% del pil nel nuovo scenario, rispetto al 14% a legislazione invariata. L’effetto cumulato di questo scostamento tra il 2025 e il 2045 ammonterebbe, in termini nominali ai prezzi 2020, a circa 160-180 miliardi di euro di maggiore esborso complessivo. Si dovrebbe invece sostenere una maggiore spesa cumulata di circa 40 miliardi di euro nel quinquennio 2025–2029, ai prezzi costanti.La riforma avrebbe inoltre un impatto negativo sul saldo previdenziale, dal momento che la riduzione dell’età di uscita dal lavoro comporterebbe una contrazione della base contributiva attiva e una maggiore durata media delle prestazioni pensionistiche. Anche in presenza di importi medi più bassi, dovuti al calcolo contributivo applicato su un numero inferiore di anni lavorati, l’effetto moltiplicativo derivante dall’ampliamento della platea dei beneficiari e dalla loro maggiore longevità determinerebbe una pressione persistente sulla spesa pubblica. In termini macroeconomici, la misura produrrebbe un deterioramento del rapporto tra occupati e pensionati, contribuendo a ridurre il tasso di attività e il potenziale di crescita, mentre sul piano dell’equità intergenerazionale aggraverebbe la redistribuzione implicita tra coorti, a scapito delle generazioni più giovani. Ogni cinque anni, a partire dal 2025 e fino al 2070, la riforma determinerebbe uno scostamento costante di circa mezzo punto percentuale di pil tra lo scenario vigente e quello con pensione a 64 anni, rendendo strutturale l’aggravio per le finanze pubbliche. La riforma, in assenza di misure correttive, metterebbe a rischio la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, costruito su un equilibrio fragile che si regge sulla combinazione tra età di pensionamento elevata, contributi versati e calcolo attuarialmente equo. Alla luce delle proiezioni della Ragioneria e delle simulazioni effettuate, risulta evidente – conclude Unimpresa – che un abbassamento generalizzato dell’età pensionabile non sarebbe neutrale sul piano contabile né economicamente compatibile con gli obiettivi di medio-lungo termine della finanza pubblica. LEGGI TUTTO

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    INPS in ascolto: chiesto agli utenti feedback su servizi e prestazioni

    (Teleborsa) – Prosegue nel mese di luglio la campagna d’indagine reputazionale avviata dall’INPS con il Messaggio n. 2192 dell’8 luglio 2025, volta a raccogliere percezioni, suggerimenti e giudizi da parte dei cittadini sull’immagine dell’Istituto. L’iniziativa – fa sapere l’INPS in una nota – rappresenta un’occasione concreta per ascoltare le voci degli utenti e misurare il livello di fiducia nei confronti dell’Istituto. Sono oltre 700mila i cittadini coinvolti, selezionati secondo criteri demografici e territoriali, che hanno ricevuto o riceveranno un’e-mail con un link per accedere al questionario.”Esprimere la propria opinione – sottolinea l’INPS – significa contribuire direttamente al miglioramento dell’INPS. Ogni risposta rappresenta un tassello fondamentale per comprendere come l’Ente viene percepito in termini di trasparenza, affidabilità, accessibilità e vicinanza. Ma soprattutto, ogni suggerimento è uno stimolo per crescere e per rispondere sempre meglio alle esigenze della collettività. L’INPS invita tutti coloro che ricevono l’invito a partecipare attivamente all’indagine: la reputazione dell’Istituto è un bene condiviso e ogni cittadino ha il potere di influenzarne positivamente l’evoluzione. I risultati dell’indagine – conclude la nota – costituiranno la base per migliorare i servizi e rafforzare il legame tra Istituto e cittadino. Partecipare è semplice, rapido e utile: bastano pochi minuti per contribuire a costruire un INPS sempre più attento e vicino ai cittadini”. LEGGI TUTTO

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    Prestazione Universale, INPS: “Potenziato il servizio di presentazione delle istanze”

    (Teleborsa) – L’INPS ha rilasciato nuove importanti funzionalità finalizzate a semplificare e migliorare il servizio di presentazione delle domande nell’ambito della Prestazione Universale, una misura economica istituita in via sperimentale dal primo gennaio 2025 al 31 dicembre 2026, introdotta in attuazione dell’articolo 34 del decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29. Tale prestazione, subordinata a uno specifico bisogno assistenziale, mira a promuovere il potenziamento delle prestazioni assistenziali per il sostegno alla domiciliarità e all’autonomia personale delle persone anziane non autosufficienti. “Grazie alle nuove funzionalità, – fa sapere l’INPS in una nota – presentare la domanda diventa ancora più semplice e veloce”. Il servizio online dedicato è stato aggiornato con diverse innovazioni. Semplificazione del questionario “bisogno assistenziale gravissimo”: la nuova versione del questionario prevede una compilazione guidata e semplificata per migliorare l’esperienza dell’utente. La compilazione è intuitiva, grazie a domande che prevedono risposte guidate (Sì/No) e la richiesta di dettagli solo se necessari. Inoltre, è possibile indicare con facilità i componenti del nucleo familiare e segnalare eventuali soggetti disabili presenti, con calcolo automatico dell’età e del punteggio. Il sistema, quindi, è in grado di calcolare automaticamente le informazioni necessarie, favorendo una maggiore precisione e riducendo il margine di errore da parte dell’utente.Nuova funzione per l’allegazione dei documenti a supporto della domanda: è ora disponibile una sezione dedicata per caricare nel sistema i documenti utili alla rendicontazione della spesa sostenuta, tra cui contratti di lavoro domestico, buste paga, fatture per servizi di assistenza e documentazione medico-sanitaria. Tale funzionalità consente di completare la procedura in modo più rapido, trasparente ed efficace, agevolando l’istruttoria e la successiva erogazione della prestazione.Con l’occasione l’INPS ricorda che una volta riconosciuta, la Prestazione Universale assorbe l’indennità di accompagnamento e viene erogata dall’INPS, su richiesta diretta della persona anziana o tramite gli enti di patronato. Hanno diritto alla prestazione le persone non autosufficienti con almeno 80 anni di età, un livello di bisogno assistenziale gravissimo, un ISEE non superiore a 6mila euro e la titolarità dell’indennità di accompagnamento. La domanda può essere presentata telematicamente fino al 31 dicembre 2026, da chi ha un’età pari o superiore a 80 anni o dal primo giorno del mese in cui viene perfezionato il requisito anagrafico, attraverso il portale dedicato sul sito istituzionale dell’Istituto, tramite la propria identità digitale, o tramite gli istituti di patronato.”Le nuove funzionalità introdotte per la compilazione e la gestione delle domande, – sottolinea l’INPS – rispondono all’esigenza di garantire un accesso sempre più semplice ed efficiente ai servizi dell’Istituto, rafforzando il sostegno alle persone anziane e ai loro nuclei familiari e contribuendo a migliorare la qualità della presa in carico”. LEGGI TUTTO

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    Servizi sociali territoriali, Ministro Calderone annuncia 3.839 assunzioni

    (Teleborsa) – “Dopo l’intervento sull’assegno di inclusione, continua la nostra strategia integrata a sostegno dei più fragili. Lunedì 30 giugno sarà pubblicato il bando di concorso nazionale per il reclutamento di 3.839 unità di personale con competenze di carattere sociale, da assumere a tempo pienoe determinato per tre anni presso gli Ambiti territoriali sociali (ATS)”. Lo annuncia il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Calderone.”Chi volesse concorrere troverà tutte le informazioni sul portale InPA, sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e su quello dedicato al Piano nazionale Inclusione”, spiega il Ministro, aggiungendo che le assunzioni rappresentano “un contributo concreto al rafforzamento dei servizi sociali territoriali e delle attività a favore dei cittadini”.Per finanziare le nuove assunzioni saranno utilizzati 545 milioni di euro del Programma nazionale Inclusione e Lotta alla povertà 2021–2027, finanziato dall’Unione Europea. LEGGI TUTTO

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    Welfare in crisi: italiani sfiduciati, imprese sempre più protagoniste

    (Teleborsa) – Per oltre 6 italiani su 10, la futura pensione sarà insufficiente, al punto di dover fare affidamento su altre fonti di reddito (per il 63%), o da non poter smettere di lavorare (17%); mentre i più giovani (il 15% degli under 35) pensano che per loro il loro momento di andare in pensione non arriverà mai. Una sfiducia che trova eco in uno Stato sempre meno di prossimità, in cui se da una parte la sanità pubblica è al primo posto tra i servizi che gli italiani si aspettano, dall’altra questa è la più disattesa (solo 1 italiano su 4 la sente garantita).È questa la fotografia scattata dall’Osservatorio “Change Lab, Italia 2030″, realizzato per il quinto anno consecutivo da Groupama Assicurazioni – prima filiale del Gruppo francese Groupama e tra i più importanti player del settore assicurativo in Italia – in collaborazione con l’istituto di ricerca BVA Doxa per indagare i principali trend che entro il 2030 cambieranno le abitudini di vita delle persone. Quest’anno l’Osservatorio ha analizzato lo stato dell’arte del Welfare attraverso il percepito degli italiani, con un focus specifico sulle piccole e medie imprese (PMI), i cui dipendenti sono stati coinvolti nella survey.Guardando al quadro generale, – continua il report – quasi la metà (44%) degli italiani boccia i servizi statali: a fronte di un’aspettativa di un sistema sanitario accessibile, efficiente e rapido (69%), pensioni adeguate (47%) e servizi di welfare di prossimità (36%), emergono forti attriti tra desideri e realtà. Pagelle nere, dunque, per il settore pubblico, a cui fanno da contraltare ottime prospettive per il welfare privato: circa 4 italiani su 10 godono di una copertura sanitaria (41%) e di pensioni integrative (38%), come parte dell’offerta fornita dal proprio datore di lavoro. Il risultato? Grande soddisfazione nei lavoratori dipendenti che hanno un pacchetto welfare aziendale (46%) tanto che 8 su 10 (82%) lo ritengono un fattore importante nella scelta di un nuovo lavoro.Anche guardando ai prossimi 10 anni, lo scenario non si discosta dalla fotografia attuale: solo il 9% degli italiani si dice fiducioso che lo Stato riuscirà a garantire tutti i servizi essenziali. La maggior parte dei nostri connazionali, invece, ritiene che solo una parte dei servizi sarà garantita (55%) e che sarà necessaria una collaborazione con il settore privato (27%), o che lo Stato non avrà le risorse necessarie e pertanto saranno le aziende a colmare le lacune tramite welfare aziendale (30%), o ancora che si dovrà fare affidamento su risorse individuali (25%).”L’indagine realizzata conferma come, in un contesto socioeconomico come quello attuale, in cui si abbassa il valore delle pensioni, aumenta l’invecchiamento della popolazione e cala la copertura del sistema sanitario nazionale, le imprese sono chiamate a svolgere un ruolo sociale, a ‘sostituirsi’ allo Stato, colmando alcune lacune del sistema di welfare pubblico e offrendo ai propri dipendenti un supporto concreto in ambiti cruciali come la salute e la previdenza. In questo scenario, il welfare aziendale si configura, per i dipendenti, come la risposta ai bisogni a cui lo Stato non riesce a far fronte e, per le aziende, come una leva strategica per attrarre e fidelizzare i talenti, attraverso uno strumento in grado di rispondere alle necessità emergenti dei lavoratori. In qualità di assicuratori, il nostro impegno è quello di accompagnare questa evoluzione sociale, facilitando la transizione verso un sistema integrato che sappia rispondere con efficacia alle nuove esigenze di tutela e benessere dei cittadini italiani”, commenta Pierre Cordier, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Groupama Assicurazioni.”Il ‘welfare del futuro’ delineato da questa ricerca invita, in un’ottica di lungo periodo, alla fiducia e all’ottimismo. Le preoccupazioni emerse sono reali, ma rappresentano anche la mappa di ciò che possiamo migliorare. Immaginiamo Stato, imprese e cittadini non come corridori isolati su tapis roulant separati, ma come compagni di squadra che si passano il testimone lungo un percorso comune. Ognuno ha un ruolo: il settore pubblico crea il quadro di base, le aziende innovano e supportano, le persone partecipano attivamente alle scelte di benessere. Insieme possiamo trasformare la paura di “non farcela” in energia per costruire nuove soluzioni. È un’economia dell’ottimismo in azione, in cui investire nel capitale sociale – nelle relazioni di fiducia, nella solidarietà, nella salute condivisa – produce dividendi preziosi: lavoratori più sereni, comunità più felici, crescita più sostenibile”, dichiara Luciano Canova, economista e divulgatore scientifico.I dati dell’Osservatorio Groupama-Doxa mostrano un quadro preoccupante circa la fiducia degli italiani nei confronti del welfare statale. Secondo i nostri connazionali, lo Stato dovrebbe garantire: una sanità accessibile, efficiente e rapida (69%), pensioni adeguate a uno stile di vita dignitoso (47%), servizi di welfare di prossimità (36%), istruzione di qualità (34%), burocrazia snella (28%).Servizi essenziali che però nel percepito degli italiani sono assenti: 2/3 (67%) considerano l’attuale sistema sanitario pubblico inadeguato, mentre meno di 1 lavoratore su 10 (8%) ritiene l’importo della pensione sufficiente a mantenere l’attuale tenore di vita. Ancora più allarmante è che il 44% degli italiani ritiene che nessuno dei servizi essenziali sia oggi garantito dallo Stato. Tra le principali ragioni di sfiducia nel sistema pensionistico statale ci sono: l’incapacità del sistema di garantire una copertura sufficiente (55%), la crisi demografica con il progressivo invecchiamento della popolazione e la bassa natalità (45%), e l’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione e dalle tensioni internazionali in atto (34%).Numeri che portano il 18% dei lavoratori a pensare, una volta in pensione, di trasferirsi all’estero per avere agevolazioni che garantiscano un miglior tenore di vita. Tra i desideri da soddisfare durante il “buen retiro”: occuparsi dei bisogni della propria famiglia e dei propri cari (28%), viaggiare e vedere il mondo (23%), vivere in campagna (15%) e dedicarsi ai propri hobby (14%).In questo scenario, a ridisegnare i confini del welfare del futuro sono proprio i lavoratori, che restituiscono un’immagine chiara di cosa si aspettano. Secondo i lavoratori dipendenti delle Piccole e Medie Imprese intervistati, nei prossimi anni assisteremo a una progressiva integrazione tra welfare statale e aziendale (38%), con quest’ultimo destinato ad acquisire maggiore rilevanza (30%). Per il 20% degli intervistati si profila addirittura un futuro “azienda-centrico”, dove lo Stato avrà un ruolo marginale e le imprese diventeranno i principali fornitori di servizi e benefit per i propri dipendenti.Oltre 8 lavoratori dipendenti su 10 (82%) considerano importante l’offerta di un valido pacchetto welfare ai fini della scelta di un cambio di lavoro e sono proprio loro a delineare cosa debba offrire il “pacchetto welfare” ideale: assicurazione sanitaria integrativa per sé e per la famiglia (57%) e piano pensionistico complementare (56%) guidano la classifica dei benefit più desiderati, seguiti dai servizi di supporto familiare (33%) e dalle convenzioni per assicurare il benessere psicofisico (25%). Per oltre 3 su 10 (31%), inoltre, il pacchetto welfare aziendale del futuro sarà “à la carte”, con le aziende che offriranno un paniere di benefit tra cui scegliere, personalizzando l’offerta in base ai loro specifici bisogni.L’indagine, infine, offre un focus sul mondo assicurativo, sempre sotto la lente dei lavoratori di Piccole e Medie Imprese: una polizza integrativa per salute e/o previdenza incluso tra i benefit dall’azienda è “molto apprezzata” da 1 italiano su 2 (48%), a cui si aggiunge un ulteriore 41% che la ritiene “abbastanza utile” per avere una maggiore serenità. Il 21% degli intervistati l’ha attivata tramite l’azienda, il 10% ne ha una privata, mentre un altro 10% le ha entrambe. Per quanto riguarda la previdenza complementare, il 18% ha una forma di integrazione privata, il 10% tramite l’azienda e un altro 10% le ha entrambe. Numeri che mettono a fuoco anche un’Italia a due velocità: il 46% dei lavoratori che hanno un pacchetto welfare ne è soddisfatto, di contro, il 24% non possiede ancora forme di welfare.”I dati del nostro Osservatorio mostrano con chiarezza quanto sia determinante l’impegno delle aziende italiane per il supporto ai bisogni delle persone. Oggi l’Istat ci dice che in Italia le PMI sono circa 4,9 milioni e costituiscono oltre il 96% delle imprese italiane. È soprattutto a questo bacino che ci rivolgiamo: circa 21 milioni di lavoratori impiegati in micro, piccole e medie imprese che, ad oggi, non beneficiano ancora di misure di welfare adeguate. Crediamo fermamente che sia qui che si gioca una partita cruciale per il futuro del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie. Per questo l’approccio di Groupama Assicurazioni è di lavorare insieme al cliente azienda per identificare le soluzioni assicurative e di welfare più idonee per i propri dipendenti. Lo facciamo, tra l’altro, attraverso il prodotto Groupama Benessere Impresa per la gestione dei piani sanitari e con la soluzione Programma Open per la previdenza complementare. Si tratta di una situazione win-win: il nostro Osservatorio sulle PMI rivela che le aziende con un welfare competitivo non solo fidelizzano e tutelano dipendenti e famiglie, ma attraggono anche nuovi talenti. Non a caso, l’82% dei lavoratori indica un welfare più vantaggioso come fattore decisivo per un cambio di lavoro, talvolta anche rispetto a un guadagno maggiore”, conclude l’AD di Groupama Assicurazioni, Pierre Cordier. LEGGI TUTTO

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    Fondi pensione: 10 milioni di iscritti e 243,4 miliardi di risorse

    (Teleborsa) – Le risorse di fondi pensione e casse di previdenza alla fine del 2024, sono rispettivamente pari a circa 243,4 miliardi di euro e 124,7 miliardi di euro. È quanto emerge dalla Relazione Annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2024, presentata oggi dal presidente COVIP Mario Pepe a Roma, alla Sala della Regina della Camera dei Deputati. FONDI PENSIONEAlla fine del 2024, le forme pensionistiche operanti in Italia sono 291: 33 fondi negoziali, 38 fondi aperti, 69 piani individuali pensionistici (PIP) e 151 fondi pensione preesistenti. Il numero continua a diminuire, rispetto al 1999 si è più che dimezzato, soprattutto per la riduzione dei fondi preesistenti, scesi da 618 a 151 unità. Il sistema della previdenza complementare continua a consolidarsi: la dimensione media dei fondi aumenta oltre la crescita generata dall’afflusso di iscritti e contributi.Gli iscritti e loro caratteristiche sociodemograficheA fine 2024, gli iscritti alla previdenza complementare sfiorano i 10 milioni (+4% rispetto al 2023); in percentuale delle forze di lavoro, gli iscritti sono pari al 38,3%. I fondi negoziali e i fondi aperti registrano tassi di crescita superiori alla media. I fondi negoziali contano 4,1 milioni di iscritti (+5,5% rispetto al 2023); gli iscritti ai fondi aperti superano i 2 milioni (+7%). I PIP “nuovi” sono 3,7 milioni di iscritti (+2,5%) mentre i fondi pensione preesistenti registrano 661mila aderenti. Si conferma la presenza di un gender gap. Gli uomini rappresentano il 61,6% degli iscritti alla previdenza complementare, mentre le donne formano il restante 38,4%. In base all’età, gli iscritti risultano concentrati nelle classi intermedie e più prossime al pensionamento. Il peso dellacomponente più giovane (fino a 34 anni) è tuttavia salita dal 17,6% del 2019 al 19,9% del 2024. Rispetto alle forze di lavoro, la partecipazione alla previdenza complementare cresce all’aumentare dell’età; tra i 15 e i 34 anni è più bassa della media generale, 29,9%, ma comunque in crescita di 8,4 punti percentuali rispetto a cinque anni prima. Quanto all’area geografica, il tasso di partecipazione supera la media nazionale nelle regioni settentrionali, dove si concentrano il 57,2 per cento degli iscritti; valori più bassi e decisamente inferiori alla media si registrano in gran parte delle regioni meridionali.Risorse, contributi e prestazioniAlla fine del 2024, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 243,4 miliardi di euro (+8,5% rispetto al 2023) soprattutto per la dinamica positiva dei mercati finanziari. Le risorse accumulate sono pari all’11,1 % del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno sono pari a 20,5 miliardi di euro (+7% rispetto al 2023), in crescita in tutte le forme pensionistiche complementari: nei fondi negoziali sono stati raccolti 7,1 miliardi di euro (+9%); nei fondi aperti 3,3 miliardi di euro (+6,8%), nei PIP nuovi 5,3 miliardi di euro (+4,7%); nei fondi preesistenti sono confluiti 4,6 miliardi di euro (+7,4%). Sulle posizioni dei lavoratori dipendenti sono stati versati 17 miliardi di euro di contributi, in crescita di 1,3 miliardirispetto al 2023. Di questi, 8,6 miliardi di euro riguardano quote di TFR; 5,3 miliardi di euro sono contributi a carico dei lavoratori e 3,1 miliardi di euro contributi dei datori di lavoro. Per i lavoratori autonomi sono confluiti versamenti per 1,7 miliardi di euro, stabili rispetto al 2023. Gli iscritti versanti nel 2024, escludendo dal computo i PIP “vecchi”, sono 7 milioni, il 72,3% del totale. La contribuzione media di tali iscritti è di 2.890 euro; è più alta per i lavoratori dipendenti (2.990 euro), che possono beneficiare anche dei flussi di TFR, rispetto ai lavoratori autonomi (2.720 euro). Il gender gap si conferma anche guardando all’importo della contribuzione versata. I contributi medi degli uominisuperano di circa un quinto quelli delle donne (3.080 contro 2.590 euro); il divario tende ad allargarsi al crescere dell’età. Nelle regioni del Nord e in alcune del Centro le contribuzioni medie sono più elevate, con punte che sfiorano i 3.600 euro, il doppio rispetto a molte regioni del Mezzogiorno. Gli iscritti non versanti, pari a circa 2,7 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Nel 2024 le uscite per la gestione previdenziale ammontano complessivamente a 13,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 5,2 miliardi di euro e in rendita per 361 milioni di euro. I riscatti sono stati pari a 2,1 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,7 miliardi di euro. Nell’anno sono stati pagati circa 2,4 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più dai fondi pensione preesistenti.L’allocazione degli investimentiGli investimenti dei fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi pensione interni a enti e società) sono prevalentemente allocati, per il 55,5% del totale, in obbligazioni governative (il 14,2% sono titoli del debito pubblico italiano) e altri titoli di debito. I titoli di capitale sono pari al 22,7% del totale mentre le quote di OICR sono il 16,2%. I depositi si attestano al 3,7%. Gli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli di Stato, titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) sono 40,1 miliardi di euro, pari al 19,3% del totale. Gli impieghi in titoli di debito e di capitale di impresedomestiche, pari rispettivamente a 3 e 2 miliardi di euro, rimangono stabili rispetto al 2023 (2,4% delle attività), gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 2 miliardi di euro. Nonostante la marcata diversificazione internazionale che caratterizza le politiche di investimento delle forme pensionistiche, il settore mostra una crescente attenzione alle opportunità di impiego offerte dal sistema Paese. Un numero sempre maggiore di fondi pensione, in particolare quelli negoziali, sta ampliando i propri portafogli attraverso l’inclusione di strumenti finanziari non quotati e fondi cosiddetti alternativi – come quelli di private equity, private debt e infrastrutturali – spesso partecipando a iniziative di investimento congiunte. Si tratta di strumenti che possono contribuire alla diversificazione degli investimenti e rappresentano un canale concreto di sostegno all’attività produttiva delle imprese italiane.I rendimenti e i costiNel 2024 i mercati finanziari hanno mostrato una dinamica positiva, sostenuti dal progressivo calo dell’inflazione e dal graduale allentamento delle politiche monetarie da parte delle principali banche centrali. Questo andamento si è confermato pur in un contesto caratterizzato da persistenti tensioni geopolitiche e da un clima di crescente incertezza sul fronte del commercio internazionale. I rendimenti, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, sono stati positivi per tutte le tipologie di comparto delle forme pensionistiche complementari, con risultati particolarmente favorevoli per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario I comparti azionari hanno realizzato le performance più elevate, con rendimenti medi pari al 10,4% nei fondi negoziali e nei fondi aperti e al 12,9% nei PIP. Anche le linee bilanciate hanno ottenuto risultati positivi, con rendimenti medi del 6,4% nei fondi negoziali, del 6,6% nei fondi aperti e del 7% nei PIP. Performance più contenute, ma comunque positive, sono state rilevate per le linee obbligazionarie. Su un periodo di osservazione decennale (dal 2015 a fine 2024), i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,4 e il 4,7%, superiori al rendimento medio delle altre linee di investimento e anche al tasso di rivalutazione del TFR (pari al 2,4% medio annuo nel decennio). Le linee azionarie, tuttavia, continuano a essere scelte da una quota ancora minoritaria di iscritti, pari all’11,7% del totale. Alle differenze di rendimento tra le forme pensionistiche contribuiscono, oltre all’asset allocation adottata, anche i divari nei livelli di costo. Per i fondi pensione negoziali, su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,49%; per i fondi pensione aperti, esso è dell’1,35% e per i PIP del 2,17%. Per le forme negoziali, il livello piùcontenuto dei costi dipende anche dalla dimensione dei fondi per effetto delle economie di scala generate dallaripartizione degli oneri amministrativi. Per le forme di mercato, invece, incide presumibilmente la remunerazione delle reti di vendita.L’attività di vigilanzaNel 2024 gli interventi di vigilanza complessivamente realizzati sono stati circa 260, poco più di un terzo ha riguardato gli assetti ordinamentali e un altro terzo i profili di trasparenza. Si sono inoltre tenuti circa 90 incontri con i soggetti vigilati; altre attività hanno riguardato le risposte a quesiti presentate dai fondi e riscontri forniti agli iscritti, a seguito della trattazione di esposti. Nell’anno sono state condotte verifiche ispettive nei confronti di 21 forme pensionistiche complementari. Le verifiche in materia di trasparenza, rivolte a tutte le tipologie di fondi, hanno riguardato la correttezza delle informazioni contenute nei documenti informativi e nell’area pubblica dei siti web, specie con riferimento alle modalità di rappresentazione dei rendimenti e dei costi. È stata avviata l’analisi sulle aree riservate dei siti web. È stato dato impulso alle verifiche riguardanti l’informativa, in materia di sostenibilità. La rilevazione campionaria sulle opzioni di investimento offerte dai fondi pensione e orientate ai fattori di sostenibilità ESG (Environmental, Social,Governance) rileva che circa un quarto delle forme pensionistiche adotta politiche di investimento che promuovono fattori di sostenibilità nei processi di investimento. I controlli sotto il profilo finanziario hanno riguardato in particolare i processi e i presìdi di controllo messi in atto dai fondi pensione al fine di garantire l’adeguata gestione dei rischi finanziari, nel più articolato quadro di riferimento delineato dalla Direttiva IORP II. È continuata l’attività di monitoraggio dei fondi pensione preesistenti esposti a rischi biometrici e quella svolta in riferimento alle operazioni di razionalizzazione, concentrazione e liquidazione delle forme pensionistiche complementari; operazioni che continuano a interessare soprattutto i fondi pensione preesistenti operanti in gruppi bancari e assicurativi.CASSE DI PREVIDENZAAlla fine del 2024, le attività complessivamente detenute dalle casse di previdenza ammontano, a valori di mercato, a 124,7 miliardi di euro, contro i 114 miliardi dell’anno precedente; a determinare la variazione ha contribuito soprattutto l’andamento positivo dei mercati finanziari e in particolare di quelli azionari. Tenendo conto anche delle componenti obbligazionaria e azionaria sottostanti gli OICVM detenuti, la quota più rilevante delle attività è costituita da titoli di debito, pari a 47,5 miliardi di euro, corrispondenti al 38,1% del totale. Gli investimenti in titoli di capitale sono pari a 24,3 miliardi di euro, il 19,5% del totale. Gli investimenti immobiliari (cespiti di proprietà, fondi immobiliari e partecipazioni in società immobiliari controllate) si attestano nel complesso a 19,7 miliardi di euro, pari al 15,8% del totale. Gli investimenti nell’economia italiana (titoli di Stato, titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) ammontano a 46,5 miliardi di euro, pari al 37,3% delle attività totali. La componente immobiliare rimane predominante (17,1 miliardi di euro, pari al 13,7% del totale dell’attivo); seguono i titoli di Stato (15,5 miliardi, pari al 12,4% dell’attivo). Gli investimenti in titoli emessi da imprese italiane, pari a 9,6 miliardi di euro, restano sostanzialmente stabili rispetto al 2023 (7,7% delle attività); di questi, circa 852 milioni sono titoli di debito e 8,7 miliardi titoli di capitale (che comprendono 1,9 miliardi di quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia).LE PROSPETTIVE EVOLUTIVENel 2024 il settore della previdenza complementare ha realizzato un risultato complessivo positivo, con un incremento del numero degli iscritti e una crescita sostenuta del valore delle risorse in gestione. Nel lungo periodo, il settore conferma solidità e affidabilità. La partecipazione alla previdenza complementare risulta ancora caratterizzata da un netto dualismo, con una prevalenza di adesioni dei lavoratori occupati nelle regioni settentrionali o centrali, di genere maschile e di età matura, mentre risulta più ridotta l’adesione delle fasce più deboli di lavoratori più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali. Per il rilancio della previdenza complementare, è in primo luogo importante un’ampia ed efficace campagna diinformazione, che accresca l’interesse al tema e con ciò la curiosità e la conoscenza.Vanno visti positivamente – si legge nella relazione – anche meccanismi che rendano più automatica la partecipazione, come il silenzio-assenso o l’iscrizione automatica con possibilità di ripensamento. Va però ripensata la linea di default, cioè quella verso la quale sono indirizzati i soggetti silenti, e che attualmente è una linea garantita, a favore di soluzioni più adeguate alle diverse esigenze e caratteristiche di ciascuno. La linea garantita, infatti, è caratterizzata da una componente azionaria quasi nulla, che la rende meno adatta a obiettivi di medio-lungo periodo, mentre i dati degli ultimi dieci anni mostrano come le linee con maggiore contenuto azionario offrano rendimenti medi annui più elevati. Un approccio più efficace potrebbe essere l’adozione di un modello “life-cycle”, che assegna dinamicamente l’iscritto, tempo per tempo, a comparti con diversi profili di rischio con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto rischio-rendimento tenendo conto delle diverse fasi del ciclo di vita.Nella fase di erogazione delle prestazioni, è netta la preferenza degli iscritti per le prestazioni in capitale rispetto alla rendita vitalizia. Le opzioni possibili al momento del pensionamento andrebbero ampliate e rese più flessibili, prevedendo anche la possibilità di una rendita temporanea, erogata direttamente dal fondo per una durata almeno pari alla vita media attesa, o prelievi parziali, anche liberamente determinabili entro una soglia annua. Queste soluzioni consentirebbero anche di continuare a beneficiare dei rendimenti della gestione presso il fondo.Anche interventi di natura fiscale potrebbero rappresentare una leva importante per incentivare le adesioni,soprattutto per le fasce di lavoratori meno abbienti, più bisognose di tutela in vecchiaia. Un primo intervento potrebbe riguardare la possibilità di trasformare la deducibilità dei contributi iniziali in un bonus di ingresso nei primi anni di adesione.Un bonus di ingresso alla nascita di un figlio costituirebbe un incentivo all’iscrizione dei minori a forme di previdenza complementare, ancor più utile se si consentisse l’utilizzo delle somme accumulate anche per sostenere il percorso di studi. Sarebbe altresì una importante forma di educazione finanziaria e previdenziale nella famiglia.Un importante passo per accrescere ulteriormente la fiducia nel sistema previdenziale sarebbe l’istituzione di un arbitro previdenziale. La COVIP non ha il potere di dirimere eventuali liti tra le forme pensionistiche complementari e le casse previdenziali e i singoli iscritti, pensionati e beneficiari, né tra gli iscritti e i datori di lavoro tenuti al versamento dei contributi previdenziali. L’istituzione di un arbitro consentirebbe a iscritti, pensionati e beneficiari di ottenere una decisione sulla controversia in tempi rapidi, senza i costi derivanti dall’assistenza legale.Per le casse di previdenza si dovrebbe semplificare e razionalizzare il sistema dei controlli, oggi molto complesso e frammentato, anche valutando di rafforzare i poteri della COVIP.Un diverso ordine di osservazioni attiene all’utilità di considerare il sistema della previdenza complementare come una componente di un più ampio e moderno modello di welfare integrato. In tale più avanzato modello, alla previdenza potrebbe validamente affiancarsi la sanità integrativa, verso la quale le persone mostrano crescente attenzione. Per i fondi pensione e per i fondi sanitari che nascono dalla contrattazione collettiva, l’integrazione delle forme di welfare consentirebbe una migliore distribuzione delle risorse messe a disposizione dal mondo produttivo e una razionalizzazione nelle prestazioni erogate.A ciò è essenziale una riorganizzazione del sistema dei controlli, in grado di assicurare una gestione sana e prudente e adeguati standard di correttezza e trasparenza, in analogia a quanto oggi avviene per la previdenza complementare.A fronte di un ampliamento nel tempo, e in un contesto sempre più complesso, delle funzioni della COVIP, le risorse economiche e umane disponibili – conclude la relazione – non hanno subito significativi adeguamenti. La presenza di un vincolo normativo che limita il trattamento economico del personale della COVIP rende peraltro difficile il reperimento di nuove professionalità. È necessario un rafforzamento dell’Autorità, assicurando una struttura sempre più qualificata, organizzata e motivata, che possa continuare a garantire un’azione di vigilanza all’altezza delle aspettative. LEGGI TUTTO