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    UE, Commissione propone nuove norme per commercializzazione alimenti

    (Teleborsa) – La Commissione europea ha proposto di rivedere le norme che riguardano la commercializzazione di una serie di prodotti agroalimentari, quali frutta e verdura, succhi e confetture di frutta, miele, pollame o uova, con l’obiettivo di aiutare i consumatori a operare “scelte informate per una dieta più sana e contribuire a prevenire gli sprechi alimentari”.Tra le proposte, c’è quella che riguarda l’etichettatura di origine, con norme più chiare e obbligatorie per miele, frutta a guscio e frutta secca, banane mature, nonché frutta e verdura rifilate, trasformate e tagliate (come le foglie di insalata confezionate). In caso di miscele, occorrerà riportare sull’etichetta il o i paesi di origine.In tema di sprechi alimentari le revisioni proposte riguardano sia i rifiuti alimentari che quelli di imballaggio. Ad esempio, per gli ortofrutticoli esteticamente meno attraenti (con difetti esterni, ma comunque adatti al consumo locale/diretto) venduti a livello locale e direttamente dai produttori ai consumatori è prevista una deroga dalle norme di commercializzazione.Per confetture e marmellate, il contenuto di frutta sarà portato da 350 a 450 grammi minimi (550 per i prodotti di alta qualità) per chilogrammo di prodotto finito. Con l’aumento del contenuto di frutta, ai consumatori verrebbe offerto un prodotto con meno zuccheri liberi e una quantità di frutta superiore a quella attuale.I succhi di frutta potranno recare la menzione “senza zuccheri aggiunti” per chiarire che, contrariamente ai nettari di frutta, i succhi non possono per definizione contenere zuccheri aggiunti, una caratteristica di cui la maggior parte dei consumatori non è a conoscenza”Le norme di commercializzazione sono la lingua comune tra i consumatori e gli operatori per sapere cosa viene commercializzato e per garantire una concorrenza leale per tutti nell’UE – ha commentato Janusz Wojciechowski, commissario per l’Agricoltura – Così come ogni lingua evolve nel corso del tempo, cambiano anche le esigenze e le abitudini di tutti i protagonisti della filiera alimentare. Vogliamo migliorare la trasparenza dei prodotti venduti ai consumatori e ridurre gli sprechi alimentari, valorizzando nel contempo metodi di produzione ancora più sostenibili e più sani per i produttori”.Alcune proposte sono aperte al riscontro del pubblico per un mese, per poi essere sottoposte all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio. LEGGI TUTTO

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    Agricoltura, Cinzia Pagni nominata da CIA responsabile Cooperazione internazionale

    (Teleborsa) – Cinzia Pagni, nominata dal Consiglio Direttivo di CIA – Confederazione Agricoltor Italiani quale responsabile del settore della Cooperazione internazionale, chiarisce subito la sua priorità: “Formare lavoratori per l’agricoltura non solo nei paesi africani e accompagnarli in Italia con flussi regolari”. Per l’imprenditrice agricola questo “è un obiettivo possibile e indispensabile per evitare tanti ‘viaggi della speranza’ verso il primo approdo in Italia e poi in tutta l’ Europa”.L’imprenditrice livornese è già stata vicepresidente della CIA ed attualmente è Presidente di Ases, la ong di riferimento della CIA, da 30 anni impegnata con i suoi cooperanti in molti paesi africani e del Sudamerica come Mozambico, Senegal e Paraguay. Ases è attiva con numerose iniziative anche in Italia a sostegno di Caritas e altre organizzazioni umanitarie.”Le nostre iniziative – assicura – tenderanno ad offrire opportunità a chi fugge dalla fame e dalla guerra rispettando i diritti umani e le leggi dei paesi che li accoglieranno”. LEGGI TUTTO

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    MIMIT: al via il primo Tavolo sulle politiche Agroindustriali

    (Teleborsa) – Definire una strategia comune tra imprese e governo per il futuro della filiera puntando su investimenti in innovazione di prodotto e di processo per permettere all’intero settore di essere competitivi sui mercati rispetto alla concorrenza. Questo l’obiettivo del primo Tavolo per il settore dell’Agroindustria che si è svolto oggi, a Palazzo Piacentini. Il tavolo è stato presieduto dal ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso e dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida. Presenti anche il viceministro Valentino Valentini i sottosegretari, Fausta Bergamotto e Massimo Bitonci, i rappresentanti della Conferenza Stato-regioni, i sindacati e le associazioni di categoria. Il settore dell’Agroindustria, di cui l’Italia è leader nel mondo, è un settore strategico per il Made in Italy e per il Paese. Un comparto il cui prestigio è il risultato di un lungo lavoro dove l’innovazione imprenditoriale, le tradizioni territoriali, le strategie per la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale e paesaggistico convivono in un perfetto equilibrio.”L’Agroindustria segna la crescita del Made in Italy nel mondo – ha dichiarato Urso –. Settore leader per produzione di beni, occupazione, valore di produzione, investimenti ed export. Da oggi insieme al Masaf abbiamo dato il via ad un confronto continuativo, sano e costruttivo per una politica di filiera e di sistema, asse portante della nuova politica industriale a cui il Governo lavora e che il Paese attende da decenni”.”Il tavolo di oggi ricompone gli asset di agricoltura e industria, divisi da decenni – ha commentato Lollobrigida –. Per sostenere le nostre imprese, il Governo Meloni lavorerà sul vantaggio competitivo della qualità e del Brand Italia. Vogliamo aprire i nostri prodotti ai mercati esteri, come fatto con l’Albania che rappresenta un ponte verso i Balcani. Il nostro obiettivo – ha concluso – è superare la dicotomia imprenditori-lavoratori per produrre ricchezza da ripartire con equità”.In Italia l’agroindustria è il primo tra i settori impegnati nella produzione di beni, per numero di occupati (ben 1,4milioni), per valore della produzione (205 miliardi di euro), per valore aggiunto (65 miliardi) e per investimenti tecnici (18 miliardi). L’Italia è prima per qualità in Europa per numero di prodotti riconosciuti: al 2022 sono 319 riconoscimenti tra Denominazione di origine protetta (DOP), Indicazione geografica protetta (IGP) e Specialità tradizionale garantita (STG) e 526 denominazioni protette per il settore vitivinicolo. LEGGI TUTTO

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    Vinitaly, al via a Verona la 55esima edizione: 4mila aziende da 30 nazioni

    (Teleborsa) – Ha preso il via ieri la 55esima edizione del Vinitaly, il salone dedicato al vino e ai distillati che riunisce a Verona 4mila aziende da trenta Paesi, 25mila operatori provenienti da 130 Paesi, mille top buyer da 68 nazioni, 17 padiglioni occupati per 100mila metri quadrati netti, per celebrare una filiera strategica per il Paese. Con 31,3 miliardi di euro di fatturato, quasi 8 miliardi di export, 530mila aziende e 870 mila addetti, il settore vitivinicolo italiano è, infatti, un asset importante dell’economia italiana. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia il vino italiano rappresenta il campione dell’export made in Italy delle 4A (Abbigliamento, Alimentare, Arredamento, Automazione), con una bilancia commerciale in attivo di 7,4 miliardi di euro.Grande l’attenzione delle istituzioni alla manifestazione: oggi alle 11 è attesa la visita della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Ieri nell’auditorium Verdi sono intervenuti all’evento inaugurale: Lorenzo Fontana, presidente della Camera dei Deputati; Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste; Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, Luca Zaia, presidente delle Regione del Veneto; Damiano Tommasi, sindaco di Verona; Flavio Massimo Pasini, presidente della Provincia di Verona; Federico Bricolo, presidente di Veronafiere, il presidente di Simest, Pasquale Salzano, e il presidente di ICE Agenzia, Matteo Zoppas. Presenti al Vinitaly anche Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri, Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Orazio Schillaci, ministro della Salute, e Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy. “Abbiamo registrato un forte e positivo segnale di unità di intenti tra Veronafiere-Vinitaly e tutto il sistema istituzionale impegnato nell’internazionalizzazione del made in Italy. La presenza così numerosa e qualificata del Governo è un segnale di grande attenzione di cui siamo grati, anche a nome di tutte le nostre aziende espositrici – ha detto Bricolo, nel corso dell’inaugurazione di Vinitaly –. L’obiettivo ora è costruire insieme una piattaforma promozionale permanente e coordinata, in grado di attrarre da un lato gli investimenti sul prodotto italiano e dall’altro l’incoming sull’Italia, i suoi territori vocati e sulla rassegna che meglio la rappresenta: Vinitaly. Il Salone si conferma uno strumento strategico al servizio del made in Italy, facendo di Verona la capitale del sistema-vino nazionale”. “I numeri della filiera mostrano come il vino nell’arco di un decennio sia diventato saldamente un capitale strategico del prodotto Italia – ha commentato l’ad di Veronafiere, Maurizio Danese –. Per questo ora dobbiamo puntare a intensificare e accelerare una progettualità per rendere Vinitaly un brand ancora più efficace sullo scacchiere della domanda internazionale del nostro vino, con l’obiettivo di incrementare le presenze di operatori professionali dall’estero e il presidio permanente sui mercati globali: la prossima frontiera di radicamento del Gruppo Veronafiere, dopo Brasile e Cina, sono gli Stati Uniti, in Occidente, il Giappone e la Corea del Sud nel Far East”. LEGGI TUTTO

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    Kraft Heinz vende attività di alimenti per l'infanzia in Russia

    (Teleborsa) – Kraft Heinz, colosso alimentare statunitense, ha accettato di vendere la sua attività di alimenti per l’infanzia in Russia al produttore locale di bevande e snack Chernogolovka. Secondo Chernogolovka, l’accordo includerà due fabbriche e i marchi “Umnitsa” e “Sami s usami”. Chernogolovka è stato uno dei principali beneficiari dell’esodo di aziende occidentali dalla Russia nell’ultimo anno, rilevando le operazioni di varie realtà.”Prevediamo di concludere l’accordo nella seconda metà del 2023 (terzo trimestre) e continueremo a lavorare con Chernogolovka dopo il completamento, per garantire un’integrazione agevole”, ha detto a Reuters un portavoce di Kraft Heinz.(Foto: © Svetoslav Sokolov/123RF) LEGGI TUTTO

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    HQF passa in utile nel 2022, ricavi salgono a 19,5 milioni di euro

    (Teleborsa) – High Quality Food (HQF), gruppo quotato su Euronext Growth Milan e attivo nel settore agro-industriale di alta qualità, ha chiuso il 2022 con ricavi delle vendite pari a 19,5 milioni di euro, in crescita del 30% rispetto al 2021. Il fatturato è stato realizzato per 13,1 milioni in Italia, per 5,4 milioni in Europa e per 1 milione nel resto del mondo. Riguardo le categorie merceologiche, il prodotto “carne” incide per il 40% sul totale delle vendite, il prodotto “formaggi” per il 11%, i “prodotti ittici” per il 8%, “salumi” per il 7%. L’EBITDA è positivo per 1,3 milioni di euro, rispetto all’esercizio precedente pari a -0,2 milioni, con una marginalità pari a 6,0%. Il risultato di periodo consolidato risulta positivo di 0,3 milioni di euro, rispetto al risultato annuale di -1 milione di al 31 dicembre 2021 (+134% YoY).La PFN al 31 dicembre 2022 è positiva (debito) per 6,5 milioni di euro, in miglioramento di 0,5 milioni circa rispetto al 31 dicembre 2021 (positiva per 7,0 milioni).”Siamo estremamente soddisfatti dei risultati ottenuti, con un bilancio molto positivo, con crescita consistente dei principali indicatori di performance, che riflette l’impegno e la determinazione del nostro team – ha commentato l’AD Simone Cozzi – Abbiamo raggiunto questotraguardo grazie alla nostra dinamicità e capacità di adattarsi alle sfide del mercato, mantenendo al contempo un’attenzione costante alla qualità dei nostri prodotti e al servizio che offriamo ai nostri clienti”. LEGGI TUTTO

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    Alimentazione, BCG: “Aumento prezzi penalizza proteine alternative. Ma potenziale green è enorme”

    (Teleborsa) – Le proteine alternative, ovvero quelle di origine non animale, continuano la corsa alla conquista del mercato. Stando al report di BCG “Taking Alternative Proteins Mainstream”, il loro potenziale è innegabile: aumentare la loro quota a livello globale dall’attuale 2% all’8% entro il 2030 potrebbe portare ad una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente alla decarbonizzazione del 95% dell’industria aeronautica. Per far crescere a lungo termine questo nuovo settore, però, è fondamentale un approccio incentrato sul consumatore. Nel 2022 il mercato al dettaglio statunitense delle proteine alternative è cresciuto del 9% e le vendite di prodotti lattiero-caseari alternativi sono aumentate del 12%, crescendo più rapidamente di quelle dei corrispettivi tradizionali (+10%); il latte vegetale refrigerato ha registrato un incremento delle vendite dell’8% e la categoria degli spalmabili, come la margarina alternativa, è cresciuta a due cifre dopo la contrazione del 2021.Le carni alternative stanno inoltre diventando una presenza fissa nei ristoranti fast-food di tutto il mondo: un canale cruciale perché crea l’opportunità per i consumatori di provare nuovi prodotti, spingendo così gli acquisti al dettaglio. In questo contesto, infatti, sono nate partnership come quella tra McDonald’s e Beyond Meat (adesso interrotta) oppure tra Burger King e Impossible Foods, con l’obiettivo di rendere il 50% del menu della catena food a base vegetale entro il 2030. Ciò nonostante, dopo le cifre esplosive registrate nel 2019 e nel 2020 (che hanno visto un aumento del 25% delle vendite al dettaglio), le vendite di carne alternativa sono diminuite dello 0,4% nel 2022, contro un aumento dell’8% della carne tradizionale. La decelerazione di questi prodotti green era prevedibile, poiché – si legge nel report – il 2020 è stato un anno anomalo, con vendite al dettaglio gonfiate dagli effetti del COVID-19. Il calo registrato nell’ultimo anno è dovuto principalmente a una contrazione del 14% dei volumi di carne alternativa refrigerata rispetto all’anno precedente, nonostante questa abbia ottenuto un aumento dei ricavi del 6%, dato l’aumento di prezzo che le aziende hanno effettuato per compensare la diminuzione delle unità vendute. “L’attuale contesto di mercato, caratterizzato da aumento dei prezzi e inflazione dei costi ha rallentato la crescita delle vendite al dettaglio di carni alternative, perché non tutti i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per questo tipo di prodotti – spiega Lamberto Biscarini, managing director e senior partner di BCG –. Anche le preoccupazioni relative al prodotto rimangono al centro dell’attenzione dei consumatori, secondo cui c’è ancora margine di miglioramento su aspetti come gusto e consistenza. Per ottenere un’adozione su larga scala, l’industria dovrà lavorare su queste dimensioni e cercare di raggiungere la parità con la carne tradizionale”.L’innovazione è dunque necessaria, soprattutto perché, stando ai risultati, i vantaggi che i prodotti a base di carne alternativa offrono già oggi non sono sempre apprezzati dai consumatori: nel prendere decisioni sul cibo, solo il 20% di questi basa le proprie scelte d’acquisto su temi di sostenibilità, mentre il 60%, ovvero il segmento mainstream, pur preoccupandosi della sostenibilità della filiera alimentare, è influenzato da altre esigenze. Si tratta di elemento rilevante per poter portare il consumo di proteine green su ampia scala.Da una ricerca BCG e Blue Horizon basata su dati di social listening di Instagram raccolti su oltre 300 consumatori statunitensi, è emerso che i criteri principali per l’acquisto di proteine alternative sono il gusto e il valore nutrizionale. I dati hanno mostrato come le associazioni spontanee nei consumatori tra le parole legate al gusto e alla salute con la carne alternativa, siano diminuite rispettivamente del 5% e del 3% dal 2021 al 2022. Ci sono quindi degli ostacoli di percezione nei consumatori, su cui le aziende possono lavorare ottimizzando la comunicazione. Attraverso i principi della scienza comportamentale, BCG ha individuato quattro azioni da attuare: le prime due possono essere implementate rapidamente da tutte le aziende, mentre le altre due dipendono dall’occasione d’uso dei prodotti. Limitare le diciture “vegano” e “vegetariano” sulle confezioni, perché possono creare una barriera psicologica nei consumatori tradizionali. È consigliabile sostituirle con “non contiene derivati animali” o “adatto a una dieta vegana”: in questo modo il prodotto continuerà a essere informativo senza dissuadere gli onnivori. Accanto alla dicitura “a base vegetale” è utile specificare la fonte proteica del prodotto, per generare familiarità nei consumatori, superando l’idea che le carni alternative siano eccessivamente lavorate o artificiali. Dare spazio sulla confezione al lato sensoriale della carne alternativa: come avviene per i prodotti tradizionali, le aziende dovrebbero comunicare ai consumatori gli aspetti positivi legati al sapore e alla consistenza dei prodotti, utilizzando, ad esempio, termini quali “saporito” o “arrostito a fuoco lento”. I marchi possono anche combinare questo linguaggio con immagini vivaci e allettanti. Questa soluzione è particolarmente importante quando ci si rivolge a occasioni di consumo in cui la desiderabilità è l’esigenza principale dei consumatori. Quando si commercializza un prodotto che ha un profilo nutrizionale desiderabile e che si rivolge a un’occasione salutistica, enfatizzare sul packaging i benefici per la salute può avere sui consumatori una certa risonanza. Solo il 56% dei 25 marchi di carne alternativa più famosi, applica almeno 2 di questi 4 principi e, non a caso, il tasso di crescita di questi brand dal 2019 è 6 volte superiore a quello delle aziende concorrenti che non li hanno ancora implementati.Lo studio di BCG indica poi altre azioni concrete che le aziende possono compiere per costruire quote di mercato a lungo termine. In primis è necessario comprendere chi sono i consumatori mainstream e di cosa hanno bisogno nelle varie occasioni d’uso del prodotto, ma anche innovare i prodotti a base di proteine alternative per migliorarne gusto, consistenza e prezzo. Diventa necessario quindi, eseguire test che permettano di simulare il comportamento dei consumatori nel mondo reale e adottare un approccio di apprendimento continuo, affinando sia i prodotti che la comunicazione legata a essi. I prodotti lattiero-caseari alternativi hanno dimostrato che il passaggio al mainstream è possibile: anche per il settore della carne alternativa è ora di cogliere quest’opportunità. LEGGI TUTTO

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    Commodities agricole: fiammata prezzi penalizza paesi trasformatori come l'Italia

    (Teleborsa) – A confronto con i massimi del 2022 i prezzi delle commodities agricole sono tornati sui valori precedenti lo scoppio del conflitto russo-ucraino, ma si attestano ancora su livelli superiori rispetto a due anni fa. Stesso andamento si riscontra per i prodotti energetici, con i prezzi del gas crollati dai picchi della scorsa estate pur rimanendo 3 volte superiori rispetto alle medie di lungo termine. Si tratta di un ritorno alla normalità, o è solo calma apparente? È da questo punto che parte la riflessione del VII Forum Agrifood Monitor, organizzato da Nomisma in collaborazione con CRIF nato per comprendere le possibili evoluzioni della filiera agroalimentare.Lo studio dal titolo “Commodities e food & beverage. La filiera agroalimentare alla prova delle tensioni su materie prime agricole, energia, acqua” prodotto da Nomisma e presentato in occasione del VII Forum Agrifood Monitor mostra dinamiche sui mercati internazionali profondamente mutate, tanto che, secondo la FAO, considerando le superfici in Ucraina seminate a cereali invernali (per il raccolto 2023), queste risultano inferiori del 40% rispetto alla media del 2017-2021. Una riduzione che coinvolge anche il mais, coltivazione per cui si prospetta una produzione di circa 21 milioni di tonnellate contro i 34 della media 2017-2021. A questo si aggiunge la scadenza dell’accordo, prevista per il 18 marzo, per il “grano del Mar Nero”, stipulato con Russia, Turchia e ONU. Anche l’Argentina – che assieme all’Ucraina incide sull’export mondiale di mais per il 35% – a causa della siccità prevede per il 2023 una riduzione sensibile sia nella produzione sia nell’export. Questa dinamica, sottolinea Nomisma, viene compensata a livello globale dalla crescita del Brasile, che nel 2022 è diventato il primo esportatore assieme agli Stati Uniti per questo tipo di cereale. Artefice e protagonista dello scatto in avanti del Brasile è stato proprio il mais (+230%), per il quale l’Italia ha registrato nello stesso anno – complice la perdurante siccità che ha interessato le zone più vocate a questa coltivazione – un raccolto più basso del 24% rispetto alla media 2017-2019, praticamente pari alla metà rispetto al picco avuto nel 2014.”Nel panorama dei top esportatori mondiali di prodotti agroalimentari, il Brasile rappresenta il Paese che più ha guadagnato da questo scenario fortemente condizionato da tensioni geopolitiche e avversità climatiche – sottolinea Denis Pantini, responsabile Agroalimentare di Nomisma –. Nell’anno da poco terminato il Brasile ha messo a segno una crescita a valore del proprio export agroalimentare di oltre il 50%, superando i 126 Miliardi di euro e conquistando così il secondo posto assoluto, dopo gli Usa, nel ranking mondiale. La fiammata nei prezzi ha infatti favorito gli esportatori di commodities agricole, penalizzando invece i trasformatori come l’Italia: basti pensare che, mentre il Brasile ha ottenuto un surplus nella bilancia commerciale agroalimentare di 113 miliardi di euro (contro i 73 dell’anno precedente), l’Italia dai 4 Miliardi di euro del 2021 è tornata in negativo, dopo diversi anni di avanzo, di 1,4 miliardi di euro”.Per l’Italia – quando si parla di autosufficienza delle filiere – la questione non riguarda però soltanto il mais visto che per il frumento, l’orzo, la soia, e carni e oli vegetali (ma anche latte, zucchero e frutta in guscio) il fabbisogno del Paese risulta superiore alla produzione nazionale. Negli ultimi dieci anni, a fronte di una produzione agricola e di consumi interni stazionari, l’export italiano è cresciuto a valore del 70%, posizionando il nostro Paese al settimo posto nella classifica degli esportatori mondiali nel comparto food&beverage. Alla luce del gap nella disponibilità di materie prime agricole, anche le importazioni sono parallelamente cresciute e la dipendenza dell’Italia dall’estero pone il Paese in una condizione di maggior precarietà e debolezza in contesti di estrema volatilità (sia dei prezzi sia degli scambi commerciali) come quello attuale. Per quanto il 57% del nostro import agricolo derivi da paesi dell’Unione Europea, che rappresentano una sorta di “scudo” a protezione della sicurezza alimentare nazionale, per alcuni prodotti primari la dipendenza da aree extra-comunitarie è ancora alta (si pensi in particolare alla soia, all’olio di girasole, al grano duro).”Non ci sono dubbi sul fatto che l’attuale situazione geopolitica mondiale porterà nei prossimi anni a rafforzare i legami e gli scambi commerciali tra blocchi di paesi amici – continua Pantini –. L’obiettivo, secondo l’analisi prodotta da Nomisma, sarà quello di ridurre quei rischi di rotture nelle catene di approvvigionamento che da due anni a questa parte hanno generato, da un lato, rilevanti aumenti nei costi di produzione delle imprese, e dall’altro, fiammate inflattive nei prezzi al consumo di generi alimentari che non si vedevano da oltre trent’anni, con effetti a cascata sul carrello della spesa degli italiani”.Contestualmente, sarà altrettanto fondamentale, se non incrementare, quanto meno mantenere i livelli attuali di produzione agricola nazionale con la consapevolezza che il tessuto produttivo agricolo italiano continua ad essere troppo frammentato. Il 40% delle aziende agricole italiane presenta una superficie coltivata inferiore a 2 ettari e il 27% delle aziende produce esclusivamente per autoconsumo. A questo si aggiunge il fatto che solamente il 23% delle aziende agricole si trova inserito stabilmente in “filiera” (il 21% conferisce ad organismi associativi, il 2,5% vende attraverso accordi pluriennali con industria e distribuzione), vale a dire “strumenti contrattuali” in grado di mitigare i rischi della volatilità di prezzi e mercati. Accanto a questo il 33% della superficie agricola italiana è soggetta a forte erosione mentre ogni giorno vengono consumati mediamente 19 ettari di suolo e in ultimo l’area mediterranea (e in particolare le regioni del Sud Italia) rappresentano un “hot spot” del cambiamento climatico, dove negli ultimi sessant’anni si sono registrati gli aumenti più elevati delle temperature medie annuali, con effetti nefasti in termini di avversità climatiche, tra cui quella della siccità.”Fatturati in crescita e margini operativi in difficoltà. Questa è la fotografia delle aziende italiane, comprese quelle attive nel comparto food” – commenta Niccolò Zuffetti, head of Marketing at CRIBIS D&B, CRIF Group –. Le aziende si stanno concentrando sulla gestione della cassa e dei crediti nonché sul miglioramento della gestione della supply chain e della sostenibilità”. LEGGI TUTTO